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Com’era da avversario?
«Un predestinato. La prima volta lo incrociai durante l’annata 2002-03, Inter-Ajax a San Siro, gironi di Champions. Vincemmo 1-0, ma lui aveva 21 anni ed era già il capitano. All’Ajax, eh. Non è da tutti».
Il primo giorno all’Inter, invece?
«L’ho abbracciato forte e gli ho detto “oh, finalmente sei dei nostri”. Dopo 24 ore eravamo già amici».
Cos’è che la lega a lui?
«Abbiamo sempre scherzato sul fatto che siamo due “zingari”. Anzi, due “zingari” mancini per la precisione, con le dovute precauzioni nel dire una cosa del genere, ovvio. È una cosa nostra»..
Com’è dentro lo spogliatoio?
«Il contrario di quello che si vede fuori. Si mostra schivo, riservato, introverso, ma in realtà è sempre stato un amicone. Uno dalla battuta pronta».
È vero che quando lui giocò col caschetto lei lo ‘proteggeva’?
«Per forza, con un fratello si fa così. Lui si fece male alla testa in modo serio il 6 gennaio 2010, col Chievo, e rimase fuori più di un mese. L’anno successivo, prima di un Inter-Samp a San Siro, lo presi da parte e gli dissi che sarei andato a saltare al suo posto su Pazzini, soprattutto sui rinvii larghi. Per proteggerlo, sì».
Thiago Motta, Stankovic, Samuel con Scaloni, Chivu. Gli eroi del Triplete in panchina stanno aumentando. È l’effetto Mourinho?
«Ha lasciato qualcosa a tutti. E il prossimo potrebbe essere Cambiasso. Impossibile non prendere spunto da Josè. Poi lui ha guidato venti fenomeni e ha vinto tutto, un conto è entrare a campionato in corso. Ma Chivu ce la farà».
Di certo non è uno che dribbla le difficoltà...
«Assolutamente no. Pensi a Barcellona-Inter, semifinale di Champions nell’anno del Triplete. Giocò al posto di Pandev senza neanche riscaldarsi e si piazzò esterno sinistro: partita incredibile».
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