La Champions riserva a Lele Oriali l'incontro con José Mourinho in Benfica-Napoli, il dirigente ne ha parlato con La Gazzetta dello Sport

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Oriali: “Sarei rimasto all’Inter, non vorrei mai giocare contro di loro! Tra Mou e Conte…
Incontrarsi e dirsi....?
«Sorridere. Abbracciarsi. Ricordare. Ci sono partite che non sono eguali alle altre: io quelle con l’Inter non vorrei mai giocarle; e queste con Mourinho lasciano puntualmente qualcosa».
Per José, lei non è Lele ma Gabriele.
«In due mi chiamano Gabriele, mia madre e José. Non so perché, gli piace e piace anche a me. Per tutti sono Lele, amichevolmente, confidenzialmente o anche no».
Madrid, 12 maggio 2010.
«Si tocca uno dei punti più alti della carriera, la Champions è il sogno di tutti. L’Inter quell’anno riuscì nell’impresa di vincere il Triplete. Ma lo sapevo...».
Quali poteri nascosti aveva per aver percezione del trionfo?
«Erano un paio di mesi che sui giornali girava voce dell’addio di José. Io e lui abbiamo avuto un rapporto straordinario come poi mi sta succedendo con Conte, ma certi argomenti restano tabù, è il sacro rispetto che si deve. E una sera, senza violare la riservatezza, ci trovammo a parlarne».
Praticamente, confessò?
«No, discutevamo di quello che avevamo letto, io gli buttai giù una battuta - lo sai che se vai via, cacciano me - e lui sereno, padrone del momento: Gabriele, non pensare a quello che sarà, qui stiamo scrivendo la storia e ci riusciremo. Promessa mantenuta».
Domanda inevitabile, Mourinho e Conte, così differenti eppure simili, con il desiderio di sentire «rumori dei nemici» e sconfiggerli.
«Parliamo di fuoriclasse della panchina. Di allenatori che sanno caratterizzare le proprie squadre sino conquistarne l’anima: per Mourinho e per Conte i calciatori si lancerebbero nel fuoco e non è un modo di dire. Lo racconta il vissuto dell’uno e dell’altro e le testimonianze di chi ha avuto modo di essere guidati da loro. Dentro i tecnici, ci sono valori umani forti. Sono “oltre”, mi creda».
Personalità dominanti, non semplici da assorbire.
«Meno difficile di quello che sembra. Il carattere è un dono per chi ce l’ha e sia Mou sia Conte lo mettono a disposizione dei club e delle squadre».
Ha vinto ovunque e in qualsiasi ruolo: si può dire, pure facendo un po’ lo psicologo?
«Mi ritrovo nella definizione. Porto con me l’esperienza, alla mia età so quando tacere e quando parlare, cosa dire. Diciamo che rifletto fuori ciò che ero in campo: un equilibratore».
Via Mou e va via anche Oriali; se ne va Conte e deve salutare pure Oriali: è il destino di chi è legato profondamente a un tecnico?
«Boh! Io sarei rimasto, l’Inter è la mia seconda pelle, non conto i successi delle mie varie carriere, quella da giocatore, da direttore sportivo o generale e da dirigente, so che con l’Inter ho vinto otto dei dieci scudetti della seconda stella. Faccia lei!».
Ci dica lei, invece, la sua classifica delle sue gioie...
«Premessa: il Mondiale dell’82 e l’Europeo con la Nazionale di Mancini sono fuori concorso. Ma mi viene facile allestire il mio podio: primo posto, lo scudetto dell’Inter del ‘71, ero poco più di un bambino. Poi il Triplete, per tante umane ragioni. E terzo il titolo dell’anno scorso a Napoli, dove Antonio ha reso possibile un sogno irrealizzabile. E ripenso alla sfilata, ai colori e ai profumi della città, al quotidiano con questa gente meravigliosa».
Arriva a Napoli dopo una riunione di famiglia.
«Mi chiama Antonio e mi dice: dai, vieni. Io sto sopra ai 70, sono sempre stato a casa, a Firenze li avevo con me, da Parma tornavo quasi ogni sera, da Bologna in due ore e mezza rientravo. Mi sembra troppo staccarmi. E quindi convoco moglie e figlie, spiego e dico: che faccio? Mi hanno messo le valigie davanti alla porta».
Stasera con Mourinho cosa farete, vi sentirete?
«Neanche un messaggio. Ci incroceremo allo stadio, direttamente lì, e sapremo parlare con gli occhi e con gli sguardi. È già successo di vivere sfide da avversari, nemici mai».
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