Che cosa le risposero?
«Mi dissero che l’Italia doveva giocare a est, tra New York, Washington e Boston, perché lì c’era la più alta concentrazione di immigrati e avremmo avuto tantissimo supporto da parte del pubblico. Sapete come andò a finire? Che alla prima partita, al Giants Stadium di New York, contro l’Irlanda i nostri tifosi non erano neanche la metà rispetto agli irlandesi».
Sono passati più di trent’anni, magari oggi il Mondiale per Club dal punto di vista climatico sarà migliore.
«Mah... Ho qualche dubbio. Intanto il clima è peggiorato, in quest’ultimo periodo e questo mi sembra un dato di fatto su cui nessuno può discutere. Inoltre le squadre sono costrette a tantissimi viaggi, il che significa che non potranno allenarsi con regolarità.
Un giorno sono a Miami e il giorno dopo devono volare in California. Io credo che i giocatori, dal punto di vista atletico, saranno parecchio stressati. Se ricordo com’erano messi i miei ragazzi...».
Ci racconti.
«Alla fine del primo tempo di ogni partita, regolarmente giocata sotto il sole perché si doveva scendere in campo nel primo pomeriggio americano per consentire la visione nella tarda serata europea, avevo almeno quattro o cinque ragazzi che mi chiedevano la sostituzione. Non ce la facevano proprio a stare in piedi. E io, allenatore di quella squadra, che cosa potevo dire loro? Cercavo di rincuorarli, chiedevo di stringere i denti, di soffrire, ma mi rendevo conto che tutti stavano andando ben oltre i loro limiti fisici. E non dimentichiamo che non potevo fare cinque sostituzioni come oggi».
Il segreto per affrontare un torneo come il Mondiale per Club?
«L’organizzazione è fondamentale. L’aspetto logistico diventa importantissimo. Pensate che cosa significa per un atleta poter riposare dopo una sforzo prolungato. Noi, questa possibilità, non l’abbiamo avuta. E mi dispiace moltissimo, perché sono convinto che se non fossimo stati inseriti nel girone della costa est, ma in quello della costa ovest come io avevo suggerito, probabilmente quel Mondiale lo avremmo vinto. Siamo arrivati secondi dietro al Brasile, e la finale l’abbiamo persa ai calci di rigore. Non dimentichiamolo mai».
Non fu una Nazionale spettacolare, però.
«E come si può fare spettacolo a quelle temperature? Comunque mi sembra che alcune belle giocate si siano viste e, lo ripeto per la millesima volta, ai miei ragazzi posso soltanto dire grazie. Negli spogliatoi, subito dopo la premiazione, qualcuno piangeva per la sconfitta. Io mi misi in mezzo allo stanzone e dissi: “Voi avete date l’anima e per me siete degli eroi! Quando uno dà tutto quello che ha non ha nulla da rimproverarsi”. Di più non potevo chiedere. Ma sapete che cosa mi dissero i massaggiatori prima della finale?».
No, ci dica.
«Io chiesi come stavano alcuni giocatori, magari si potevano fare dei massaggi... I medici e i massaggiatori mi risposero: “Arrigo, non c’è nulla da massaggiare. Non hanno più muscoli”. Ecco il risultato della permanenza sulla costa est, a più trentacinque gradi, con le notti tropicali e neanche un filo d’aria. Ma lo sapete che io, la sera, non riuscivo nemmeno a fare una passeggiata perché dopo un minuto avevo la maglietta bagnata di sudore? Non vorrei proprio essere nei panni di un allenatore delle squadre che partecipano al Mondiale per Club. La tecnologia ha fatto passi da gigante, sicuramente saranno state prese delle precauzioni, ma il sole, quando picchia, brucia la pelle».
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