Non pensavo di giocare, invece Mourinho in settimana mi disse 'Davide, non mi importa se hai 18 anni, ma stravedo per te e voglio che questa partita la giochi te'. Dopo la partita mi disse scherzando 'ieri hai fatto veramente schifo in campo', per vedere la mia reazione, prima di dirmi 'guarda che giochi anche il ritorno'. Mi mandava spesso messaggi, si interessava su cosa facessi e quando andassi a dormire. Era un secondo papà, voleva facessi cose giuste".
Cosa successe dopo?
"Tantissime cose. Feci il mio esordio in Serie A a gennaio, per sei mesi giocai tutte le partite da titolare, vinsi lo scudetto ed esordì in nazionale Under 21 e con Lippi. Quando stava per cominciare l'anno nuovo, invece, mi ruppi il ginocchio in un'amichevole Under 21 con il Lussemburgo. Successe a fine primo tempo, ma strinsi i denti perché me lo chiese il mister e giocai tutto il secondo tempo col ginocchio rotto, spappolandomelo. Da lì cominciò tutto un calvario, il ginocchio si gonfiava sempre e non mi sentivo più il Davide di prima. Non voglio trovare scuse, ma avrei potuto fare molto di più".
I trofei che ricordo?
"Il primo scudetto, fu il primo trofeo della mia carriera. Poi ovviamente il Triplete, anche se non mi sento protagonista assoluto di quell'annata. Rimarrà nella storia perché ho giocato, ma non mi sento protagonista. Quello che sento più di tutti è il primo scudetto, il diciassettesimo dell'Inter. E' stata la mia nascita, il mio tutto".
Il trasferimento al Newcastle?
"Venivo da un periodo non positivo, con tanti infortuni. Io dovevo un po' ritrovare serenità e continuità, quindi parlando con la società arrivò il momento di cambiare. Fu un'esperienza fantastica, sono stati tre anni e mezzo in cui ho trovato maggiore continuità dopo l'infortunio. Poi tornai all'Inter, dopo un altro infortunio al Newcastle, volevo giocare e l'allenatore lì non me lo permetteva. L'Inter perse a Sassuolo in una maniera non bella, mi chiamò Mancini e io non potevo rifiutare".
Il ritorno per rilanciarti.
"Non penso di aver mantenuto quella promessa. Tornai con la voglia di spaccare il mondo. Ho avuto alti, ma anche tanti bassi e non arrivai a rendere come volevo. La testa c'era, ma le gambe facevano fatica. Il corpo era già in discesa, nonostante avessi solo 26 anni. Ero in una situazione di calo. Andavo a peggiorare invece di migliorare. La gente viene allo stadio, giustamente si aspettava il massimo, però non sapeva cosa c’è dietro. Non mi aspettavo che capissero, io purtroppo ero consapevole di un fatto molto chiaro. Quando devi sprintare, ma capisci che non vai più alla velocità di prima. Puoi lavorarci sopra, ma se non va, non va. Mi presi tanti insulti dopo Inter-Juve, ma sapevo perché giocassi in quel modo. Non sono mai stato scarso, ma sono diventato un giocatore mediocre per via degli infortuni. Entrai sul 2-1, perdemmo 3-2. Mi trovai lì in mezzo sul terzo gol, perdemmo la marcatura su Higuain, ma è una cosa che può capitare".
Il ritorno a San Siro.
"Fu motivo di grande orgoglio. Tornai da avversario, con la Roma, fui costretto a uscire per infortunio, ma tutti mi applaudirono. La maggior parte della gente si è ricordata anche quello che avevo fatto".
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