Ci racconti come andò.
«Un’emozione inspiegabile: mi ritrovai di fronte una persona umile, aperta, molto amichevole. Un uomo semplice che mi raccontò di quando giocava a basket e del suo rapporto con lo sport. Stringemmo subito un legame importante. Gli consegnai una maglietta dell’Inter e mi ritrovai a parlare con lui dei Mondiali giocati con l’Argentina».
E a proposito del San Lorenzo, invece, cosa le disse?
«Rientrava all’interno dell’amore per il calcio, una delle sue passioni: l’aspetto che mi colpì è che recitò a memoria tutta la formazione del suo San Lorenzo, campione nel 1946».
Nello specifico: Blazina, Vanzini, Basso, Zubieta, Greco, Colombo, Imbellone, Farro, Pontoni, Martino e Silva.
«Li recitò proprio così. Nonostante fossero passati quasi sessant’anni lui li ricordava a memoria. Come se chiedessi a un nerazzurro di elencarmi tutta la rosa della Grande Inter di Helenio Herrera o del Triplete. Lui fece lo stesso con tutti i giocatori del San Lorenzo, come se fosse un tifoso. Incredibile. Quel giorno, comunque, nacque anche l’idea di giocare la famosa “partita della pace”, poi finalizzata nel 2014».
E a tal proposito che cosa le chiese?
«Di realizzare qualcosa di così grande da unire le religioni, radunando campioni e stelle da tutto il mondo».
E lei accettò subito.
«Certo, e ovviamente con grandissimo orgoglio. Mi misi a disposizione per poter concretizzare questa idea attraverso la mia fondazione, di cui avevamo parlato a lungo. Alla fine, quella gara fu trasmessa in televisione in più di venti Paesi».
Un grande successo.
«C’erano tutti: Del Piero, Totti, Valderrama, Maradona, Simeone. Fu un grande evento. Non solo per la partita, ma anche per il messaggio di unione che inviò a tutto il mondo».
Che cosa le ha lasciato quell’incontro?
«Un senso di pace assoluta. Portai anche la mia famiglia, lui benedì ognuno di noi e si fermò un po’ di più con Tomás, che all’epoca aveva un anno. A casa conservo ancora la foto in cui gli passa una mano sulla testa. Riguardarla oggi, a distanza di più di dieci anni, mi mette ancora i brividi. Lo ripeto: quell’incontro è stato un’emozione che non si può spiegare».
Che cosa ha rappresentato Bergoglio per voi argentini?
«Un punto di riferimento. Ha reso la Chiesa più semplice, più vicina a tutti noi. Ricordo ancora il suo primo discorso, quando alla fine dell’Angelus disse: “Buona domenica e buon pranzo”. Ha azzerato le distanze. Papa Francesco è stato soprattutto questo: umiltà e lungimiranza».
Il calcio italiano si è fermato in segno di rispetto.
«Papa Francesco è stato una persona di grandi valori. Conserverò il ricordo di quell’incontro dentro di me. La fede è sempre stata una parte fondamentale della mia vita e lo sarà per sempre».
Qual è stata, infine, la sua più grande qualità?
«Il non creare alcun tipo di distanza. In tutti i nostri incontri mi ha trasmesso un senso di amore e di vicinanza. Parlavamo la stessa lingua, sembrava quasi... “uno di noi”».
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