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Zenga: “Tornare all’Inter? Ci fu una possibilità, ma ormai non ci spero più”

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Zenga, perché da bambino scelse l’Inter? «Mio padre era juventino, ma mi portava a vedere l’Inter, non so perché. La mia prima volta a San Siro è stata per un Inter-Brescia e io, più che dall’Inter, venni rapito dall’enorme V sulla...
Fabio Alampi Redattore 

Zenga, perché da bambino scelse l’Inter?

«Mio padre era juventino, ma mi portava a vedere l’Inter, non so perché. La mia prima volta a San Siro è stata per un Inter-Brescia e io, più che dall’Inter, venni rapito dall’enorme V sulla maglia nera del portiere bresciano, Luigi Brotto».

Il vivaio interista. Poi i prestiti: Salernitana, Savona, Sambenedettese.

«A Salerno ho preso la prima lezione. Campionato di C1. Giochiamo contro la Paganese sul neutro di Avellino, paro un rigore nonostante un dito lussato, vinciamo. Passo la settimana a sentirmi figo. La domenica prendo due gol sui primi due tiri ed esco in lacrime. Lì ho capito che ciò che conta non è quello che hai fatto, ma ciò che farai».

Alla Samb, il decollo.

«Alla Samb ho avuto Nedo Sonetti, l’allenatore che mi ha svezzato, e ho vissuto l’Heysel italiano. È il 7 giugno 1981, Samb-Matera, la partita della nostra promozione in B, allo stadio Fratelli Ballarin. C’è una foto in cui sono girato verso la nostra curva, che sta prendendo fuoco. Nel rogo (l’incendio divampò dalle strisce di carta tagliate per festeggiare, ndr ) muoiono due ragazze e ci sono tanti ustionati gravi, ma non lo sappiamo e giochiamo lo stesso, tra le ambulanze e i pompieri. Pazzesco, però le comunicazioni sono lente e imprecise».

Sonetti?

«Settembre 1981, Samb-Lazio. Il giovedì, come sempre, la mia fidanzata viene da Milano. Sonetti mi fa: “Walter, la tua ragazza oggi non arriva, vero? Abbiamo una partita importante”. Io: “Ma no, mister, si figuri”. Lei era già sul treno. Sonetti fiuta qualcosa e la sera si presenta in ispezione nel palazzo in cui abito, dietro lo stadio. Io nascondo lei sul terrazzino di un ufficio. Sonetti entra in casa: “Walter, ci sono due cose su cui non mi freghi, il calcio e le donne e qui c’è profumo di donna!”. Sonetti è stato un grande, faceva cose che ora vengono spacciate per nuove».

Poi l’Inter, 1982-1994: il momento più bello?

«L’ultima partita, il ritorno della finale di Coppa Uefa contro il Salisburgo nel ‘94. So che andrò via, anche se la dirigenza non mi ha comunicato nulla. Lo so perché Mancini mi ha detto che Pagliuca lascerà la Samp per passare all’Inter. E so che il nuovo allenatore, Ottavio Bianchi, non mi vuole. San Siro è strapieno, paro tutto, vinciamo la partita e il trofeo. È l’ultima delle mie 473 presenze. Saldo i miei conti, l’addio perfetto».

La parata più bella nell’Inter?

«Contro il Torino a San Siro, nel settembre 1983. In volo verso il “sette” a deviare un tiro di Caso».

L’allenatore dell’Inter che l’ha più colpita?

«Stagione 1992-93, mi fanno fuori dalla Nazionale e l’Inter non gioca le coppe europee. Devo allenarmi sempre ad Appiano, non ci sono più abituato e sono nervoso. Ho uno scazzo con Osvaldo Bagnoli e vado dal mister a scusarmi. Busso alla porta del suo stanzino e dall’altra parte sento Bagnoli che dice: “Dai Walter, entra”. Apro: “Scusi, ma come faceva a sapere che ero io?”. Risposta: “Tu sei una brava persona e sapevo che saresti venuto. Vai a casa, finisce qui”».

I suoi due soprannomi.

«Il primo, Deltaplano, lo inventò Gianni Brera. Il secondo, l’Uomo Ragno, in pratica me lo sono dato da solo. È il 1992, l’anno del boom della canzone degli 883. Sacchi mi taglia dalla Nazionale. Un cronista mi chiede: “Walter, che cosa pensi di questa esclusione?”. Rispondo canticchiando: “Hanno ucciso l’Uomo Ragno, chi sia stato non si sa, forse Sacchi, Matarrese, Carmignani chi lo sa (Matarrese era il presidente della Figc; Carmignani, ex portiere, il vice del ct Sacchi, ndr )”. Il giorno dopo esce un paginone su questa cosa e divento l’Uomo Ragno. Ho una richiesta per Max Pezzali (il leader degli 883, ndr ): Max, invitami a cantare “Hanno ucciso l’Uomo Ragno”, sei interista!”».

In azzurro, Zenga due volte semifinalista, all’Europeo del 1988 e al Mondiale 1990. Tasto dolente, l’uscita che a Napoli costò l’1-1 contro l’Argentina: lancio di Maradona, lei a vuoto, gol di Caniggia.

«In quella situazione, il portiere che esce è fregato per nove volte su dieci. Perché sono uscito? Non lo so, sono attimi e ho deciso così. Se non puoi anticipare l’attaccante, devi restare in porta e tentare la parata. Io ho fatto la scelta più scomoda, in un centesimo di secondo, e l’ho pagata. Il falso storico è che noi abbiamo perso il Mondiale per quell’episodio. Mancavano più di 20 minuti al 90’ e poi ci sono stati i supplementari e i rigori. È stato un Mondiale quasi perfetto, sei vittorie e un pari nei 120 minuti».

Zenga allenatore coraggioso e apripista.

«Ho vinto il campionato con lo Steaua Bucarest, in Romania, e con la Stella Rossa in Serbia. Sono stato in Turchia, ma non a Istanbul: a Gaziantep, vicino al confine con la Siria. Sono andato in Arabia, all’Al Nassr, oggi la squadra di Ronaldo, ma nel 2010...».

Mille esperienze, ne manca una. Il ritorno a Itaca, che sarebbe l'Inter. Non l'hanno mai cercata?

"Una volta, non mi ricordo se fosse il momento in cui presero Stramaccioni o Mazzarri".

Le dispiace?

"Non vado più a San Siro, ma se ci tornassi, finirei come sempre circondato dai nostri tifosi. Per loro, è come se avessi smesso di giocare due giorni fa e tanto mi basta. Gli interisti sono la mia gente. Mi piacerebbe ritornare a casa, ma no, non ci spero più perché non vedo una posizione per me. Sebbene, se volessero, un incarico potrebbero ricavarlo. L'unico posto in cui non riesco a ritornare è l'Inter".