È corretto dire che l’Inter per certi versi ricorda il suo Milan: un grande gruppo?
«Verissimo. In certi casi deve essere la società a creare il contesto per far rendere al meglio i giocatori. Uno spogliatoio coeso ti spinge a dare di più, a superare ogni difficoltà. Io posso testimoniarlo nella mia duplice veste. Da senatore del Milan e da straniero nel vestuario del Barça».
I tifosi dell’Inter sognano ripensando all’esito della stessa semifinale nel 2010...
«I ricorsi storici fanno parlare e sperare... Quando lo ricordo ai miei amici interisti partono le scaramanzie...».
Intoppi da non sottovalutare?
«Per l’Inter sarebbe stato meglio giocare la prima gara a San Siro. Il Barcellona disputerà la partita d’andata come se fosse una finale, con la sua filosofia di gioco. I nerazzurri non devono commettere l’errore di avere un atteggiamento speculativo, pensando che ci sono ancora 90 minuti per ribaltare il risultato. Rischia che poi sia troppo tardi».
In quale settore del campo può vincere la partita?
«A centrocampo. L’Inter ha tre giocatori — Barella Calhanoglu e Mkhitaryan — che offrono al contempo equilibrio e imprevedibilità. Ciò determina anche il numero di palloni che arriveranno agli attaccanti».
Sarà dura per Acerbi fermare il centravanti blaugrana Lewandowski?
«Non arriva mai all’uno contro uno. Riveste i panni di direttore della difesa, in genere impedisce ai centravanti avversari di avvicinarsi all’area interista».
Due anni fa dopo la sconfitta interna con il Monza, Inzaghi era a rischio esonero. Ora si celebra il suo record per aver raggiunto Herrera con due semifinali di Champions. Quanto è cresciuto?
«Direi che il suo valore esula dai risultati ottenuti. Consideriamo pure l’abilità a gestire il turn over sui tre fronti».
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