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Condò: “Inter si è meritata Monaco, finale senza paura. Ora c’è da completare il percorso”

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Del cammino europeo dell'Inter di Inzaghi e della finale di questa sera con il Psg ha parlato sulle pagine del Corriere della Sera il giornalista
Andrea Della Sala Redattore 

Del cammino europeo dell'Inter di Inzaghi e della finale di questa sera con il Psg ha parlato sulle pagine del Corriere della Sera il giornalista Paolo Condò:

"Rispetto a due anni fa, quando l’Inter planò a Istanbul dallo scivolo di un bel tabellone e nell’approccio alla finale palesò timore reverenziale per il City, siamo proprio in un’altra dimensione. L’Inter si è meritata Monaco attraversando il purgatorio del Bayern e l’inferno del Barcellona, e l’ovvio rispetto per il Paris Saint-Germain non contiene in alcun modo elementi di paura. Del resto sono le esperienze vissute a definirci, agli occhi di chi ci guarda ma anche ai nostri. Nell’amarezza di una sconfitta che il campo dimostrò essere assai meno scontata del previsto, Istanbul ha avuto il pregio di dotare l’Inter di un’autostima che ha prodotto uno scudetto dominato e, adesso, una Champions senza limiti. Ha aggiunto uomini, nel frattempo: un Sommer inatteso a questi livelli, l’affidabile Pavard, il portentoso Thuram, e poi Frattesi che tra andata dei quarti e ritorno delle semifinali ha segnato uscendo dalla panchina i gol che hanno fatto la differenza. Due anni fa l’Inter era molto soddisfatta di essere arrivata in finale. Oggi è orgogliosa del cammino percorso, ma nemmeno inconsciamente lo ritiene compiuto, perché da subito puntava alla vittoria e perché la sconfitta in campionato le ha tolto la rete di protezione, il retropensiero del «qualcosa comunque ho già vinto».


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La stagione si definisce stasera, e una squadra così esperta, rodata al punto da fornire ad alcuni componenti una chance estrema e non ripetibile — la famosa «last dance» — difficilmente sbaglierà partita. Cinque anni di differenza nell’età media (24.3 i parigini, 29.1 i milanesi) disegnano un confronto molto netto. Il punto di contatto fra Inzaghi e Luis Enrique è l’ambizione di costruire una squadra, tema quasi inedito al Psg che per anni ha seguito una filosofia da Harlem Globetrotter (da Messi a Neymar, da Ibra a Mbappé, le figurine collezionate in dieci anni sono state inferiori solo alle figuracce rimediate), e adesso invece è un blocco che si muove coerente. Poi il denaro speso in quantità enorme ha portato a Parigi quasi tutto il meglio del talento fresco, mentre l’autofinanziamento felice dell’Inter è raccontato da svincolati rivitalizzati in nuovi ruoli (Calhanoglu), da crescite esagerate (Dumfries), da appuntamenti col destino (Acerbi). E dunque la finale è un match tra chi ha seminato e chi deve raccogliere, e certo non è detto che chi ha maggiore prospettiva sia meno determinato di chi volteggia senza rete. La scacchiera di Monaco presenta intrecci tattici in quantità. Ma c’è qualcosa che sorvola i singoli duelli, ed è il senso delle finali, la reattività nel momento di massima crisi. Il Psg è stato grande a fine girone col City, quando si trovò sotto 2-0 e vinse 4-2. L’Inter, beh… chiedete quanto si è pentito a chi lasciò San Siro dopo il gol di Raphinha.