Le scarpe sporche e le ginocchia sbucciate, sono diventate divise sponsorizzate da calciatore e allenatore, le formazioni nate con la «conta» (una scelta a me, una a te) sono diventate frutto di lunghe e ragionatissime riunioni tecniche. Ma il calcio mi piace come allora, la partita è sempre la partita, che sia sulla terra battuta o davanti a ottantamila persone...
Il ricordo di un grande «classico», come il torneo notturno di Gragnano, ha per me il ruolo di tenere annodato quel filo che non si è mai spezzato, il senso vero e puro di tutto quello che rotola insieme a quel pallone. Sono stato fortunato e tale mi ritengo, ma so anche di essermelo un po’ meritato. I successi di oggi sono figli di quei sentimenti, di quelle tensioni emotive che allora sfociavano in tornei che contavano come e più di un campionato.
Non ho mai dimenticato da dove vengo, ho sempre esaltato i valori della provincia, che sa esprimere rivalità e solidarietà, senso di appartenenza e voglia di spiccare, che esalta il valore della famiglia e lo trasferisce nel sapore della sfida. Sempre allo stesso modo, senza esclusione di colpi ma nella cornice della correttezza e della lealtà.
Allenare e vincere con l’Inter, così come lo era stato con la Lazio, è semplicemente fantastico, ma ancora di più è la possibilità di continuare ad alimentare quel sacro fuoco che non si spegnerà mai.
© RIPRODUZIONE RISERVATA