Da alcuni mesi è diventato più incisivo anche davanti ai microfoni, e qualche confine - specie dell’area tecnica - non lo rispetta: è il rovescio della medaglia, quella voglia di primeggiare che c’è sempre stata al di là delle banalizzazioni. La forza tranquilla resta comunque il tratto distintivo di Simone, anche quando rivendica con un sorriso che la sua Inter corre per il traguardo centrato da José Mourinho 15 anni fa.
Il portoghese l’etichetta di “Special One” se l’è stampata addosso da solo. Erano gli anni belli in cui decideva - con le sue mille trovate mediatiche - le prime pagine, ma faceva anche incetta di titoli. La coccarda si è un po’ impolverata nel tempo e ingiallita nelle ristrettezze estetiche di un calcio che al risultato ha sacrificato tutto il resto, fino a inseguire trofei sempre meno importanti nella provincia del pallone europeo. Mentre Theo dribblava Inzaghi, una trance agonistica di ben altro spessore portava Mourinho - che rischia fino a 10 giornate di squalifica - a prendere per il naso l’allenatore avversario Okan Buruk, reo di avergli rivolto una mezza frase sgradita. Il tutto, dopo averlo battuto nel derby di Istanbul: perché Mou vince ancora oggi, è nella sua natura, ma finisce per sembrare la controfigura del grande comunicatore che è sempre stato. Rissoso, senza essere graffiante.
A chilometri di distanza, in quella Milano nerazzurra che non ha mai dimenticato il portoghese, il “Normal One” all’arbitro non fa le manette all’arbitro ma gli porge le scuse - se convinte o convincenti è un altro discorso -, dopo averlo contestato platealmente e diventa ogni giorno un po’ più speciale. Per il gioco espresso sul campo, ma pure per i risultati che insegue. Su questi ultimi, ha sempre avuto ragione José: sono l’unica cosa per cui si viene giudicati, alla fine. Anche quando si tratta di due allenatori che non potrebbero essere più diversi", si legge.
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