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Certo Giuntoli non ha lesinato spese, quasi 270 milioni (compresi bonus) nelle ultime due sessioni di mercato, per ricostruire la Juve. Ha sacrificato diversi giovani e resistono alcune contraddizioni, come investire 17 milioni su Kelly (che errore davanti al vecchio Perisic) dopo aver ceduto Huijsen alla stessa cifra. Si spiega con la ruota semestrale del bilancio e l’esigenza di fare cassa. Resta un fatto indiscutibile. La Juve si trova all’alba di un ciclo, l’Inter al tramonto. La Juve a luglio dovrà completare la rivoluzione, l’Inter dovrà rifondare. Cinque anni di differenza, sotto forma di età media tra le due squadre scese in campo lunedì e martedì, sono un’enormità. Segnalano il dislivello di percorso e di prospettive, non solo di esperienza.
Una squadra è appena nata, ondeggia tra insicurezze e timidi progressi, non ha ancora un’identità precisa ma procede. L’altra sta provando a superare se stessa (e i propri limiti) tirando fuori le ultime energie, resistendo all’usura del tempo. Le certezze risiedono nel gioco. Le basi solide ci sono. Si chiamano Lautaro, Barella, Bastoni, Calhanoglu, Thuram, Dimarco. Molto sarà da ritoccare in estate. Il Derby d’Italia segnala un solco profondo tra le due società. Thiago deve garantire l’obiettivo minimo (quarto posto in Serie A, ottavi Champions) per darsi lunga vita in panchina e progettare l’assalto allo scudetto nella prossima stagione. Qualcosa si comincia a vedere. Come i pro gressi di Douglas Luiz, più congeniale di Koop in appoggio a Locatelli. Inzaghi sta prolungando la vita di un organico che non riesce più a esprimersi con continuità. Era normale succedesse. Ripetersi nello sport è complicato e l’obbligo di vincere, come racconta Velasco, diventa un macigno anche per i più grandi. C’è persino chi gli rimprovera un solo scudetto in tre anni, dimenticando le coppe infilate in bacheca e la carta anagrafica”, si legge.
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