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Vocalelli: “Rivoluzione Inzaghi, l’Inter è la più moderna delle superpotenze d’Europa”

Inter Inzaghi
Il giornalista, intervenuto sulle pagine de La Gazzetta dello Sport, ha parlato del grande cammino dell'Inter in questa stagione
Andrea Della Sala Redattore 

Il giornalista Alessandro Vocalelli, intervenuto sulle pagine de La Gazzetta dello Sport, ha parlato del grande cammino dell'Inter in questa stagione

Spettacolare, moderna. Quante volte - per commentare una squadra - sono state messe in fila queste due parole? Come se non ci fosse un’enorme differenza. Il Barcellona, per capirci, è spettacolare. L’Inter è moderna. E c’è un abisso. Che non è determinato soltanto nel numero dei gol segnati. Anche perché, se fosse così, l’Inter - è una semplificazione voluta - nel doppio confronto sarebbe stata anche più spettacolare del Barcellona, che ne ha fatti sei ma ne ha incassati sette. Il Barcellona, dicevamo, è spettacolare, per tradizione: un gruppo che diverte e vuole divertire. Per fare questo, Yamal non rientra mai nella propria metà campo: è troppo più importante averlo fresco con il pallone tra i piedi. La questione potrebbe aprire un dibattito di più ampio respiro: sei hai un calciatore superiore, è giusto lasciarlo libero o - come abbiamo sentito dire tante volte - «si attacca in dieci e ci si difende in dieci»? Un Interrogativo da calcio di oggi, su cui discutere. Ma non è questo il punto.


Vocalelli: “Rivoluzione Inzaghi, l’Inter è la più moderna delle superpotenze d’Europa”- immagine 2

Il punto è: come definire l’Inter se non la più “moderna” tra le superpotenze d’Europa? Un grande complimento, perché essere spettacolari vuol dire esaltare le qualità tecniche. È appunto uno spettacolo vedere Yamal saltare l’uomo, o Raphinha arrotare il pallone, di destro o sinistro. Ma, con tutto il rispetto per i campioni di oggi, questa non è una novità assoluta. La differenza dell’Inter, della sua modernità, è invece nella ricerca di un calcio che riesca a trapiantare le nuove tendenze in concetti più tradizionali. C’ è stato un tempo in cui la difesa a tre era infatti bollata come difensiva, con un uomo “sprecato” in fase di costruzione. È lì che Simone Inzaghi ha lavorato, cancellando l’idea dei difensori statici, portando i due “braccetti” a costruire. E operando una sorta di rivoluzione, fatta di dettagli. Perché il gol di Acerbi con il destro - lui che è un sinistro naturale - ha scatenato “ooh” di meraviglia. Ma più ancora del gesto tecnico viene da chiedersi perché si trovasse lì, nel cuore della difesa avversaria. Le risposte sono tante, ma potremmo provare ad aggiungerne una. La possibilità di sfruttare l’effetto sorpresa, perché un centrocampista, un esterno, figuriamoci un attaccante, ha sempre addosso il suo avversario diretto. Il centrale, o “libero”, per intenderci, no.

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D’altronde la modernità dell’Inter è confermata da dati oggettivi. Anche se, come detto, non è questo il parametro più sincero, vogliamo parlare di gol? L’Inter ha nettamente il miglior attacco della A, con 73 reti: 18 più del Napoli, 21 più della Juve, 23 più della Roma. Però la riflessione va allargata. Perché il totale conta, ma è fondamentale leggere i parziali. E l’Inter, da questo punto di vista, è una macchina - scusate l’esagerazione - quasi perfetta, capace di mandare a bersaglio 18 calciatori diversi. Modernità è negare punti di riferimento agli avversari. Un dato confermato dai sette gol al Barça: tre con gli attaccanti - due Lautaro e uno Thuram - tre con giocatori che partono da lontano - Dumfries e Frattesi -, uno addirittura con un difensore centrale. È così che l’Inter si è guadagnata la finale col Psg. L’avversario, da questo punto di vista, più difficile. Che, esattamente come l’Inter, ha colto la differenza tra essere spettacolari o moderni. I francesi, con Mbappé, Messi e Neymar, hanno provato a essere spettacolari, per poi votarsi a un calcio più moderno, esaltato dai gol di Fabian Ruiz in versione Frattesi e Hakimi in versione Dumfries. Poi, certo, l’obiezione è facile, ci sono altre componenti decisive, come le parate di Sommer e Donnarumma. Ma questo è un altro discorso.