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In poche ore, mentre già si facevano i conti sull’impatto che la revoca avrebbe prodotto sui conti delle squadre (soprattutto per chi ha acquistato dopo il 1º luglio) si è capito che tutto nasceva da un errore di interpretazione. Il governo inasprirà le condizioni (serviranno almeno tre anni di residenza pregressa all’estero e occorrerà rimanere in Italia per almeno cinque anni) ma dalle nuove disposizioni saranno esenti ricercatori e professori universitari. Insomma, i famosi cervelli a cui il Decreto era diretto. Insieme a questi, restano al riparo dalla riforma gli altri “cervelli” di cui il Paese si lustra: i calciatori.
Il Decreto divide da anni l’opinione pubblica. Da un lato, i critici evidenziano la distorsione introdotta dalla disparità di trattamento fiscale a svantaggio dei calciatori italiani, rispetto agli stranieri, con l’inevitabile preferenza delle società a ingaggiare questi ultimi. Applicata estensivamente, questa pratica (anche nelle serie minori) ha saturato le rose di giocatori mediocri, magari meno bravi dei colleghi italiani, ma dal costo più basso. La Figc si è spesa per invocarne l’abrogazione o almeno l’esclusione ai calciatori.
Dall’altro, i club vedono nel Decreto uno strumento necessario a contrastare la concorrenza internazionale. Senza Decreto - si dice - i campioni diverrebbero inarrivabili per le deboli strutture di ricavo della Serie A che ne uscirebbe impoverita e meno competitiva nelle coppe. Arriverebbero meno premi Uefa, minori incassi e il valore del prodotto (già penalizzato) da vendere ai broadcaster ne sarebbe decurtato.
La verità sta in mezzo. I club fanno bene a utilizzare una misura vantaggiosa, anche se la norma originaria non fu concepita per acquistare calciatori a buon mercato. In fondo, però, è un mezzo lecito per difendere la propria posizione competitiva. Devono però attrezzarsi per competere con il loro prodotto, anziché affidarsi a distorsioni fiscali. Lavorare sulla crescita dei ricavi commerciali, progettare stadi moderni, gestire meglio il recruiting, investire nei vivai. Qualcuno lo sta facendo, con buoni risultati.
Inoltre occorre proteggere i calciatori meno celebrati. Se gli italiani non trovano spazio nelle rose di A e B i nostri giovani avranno meno opportunità e la Nazionale sarà sempre mortificata. Inutile lamentarsi se rimediamo figuracce in giro per il mondo. Il correttivo introdotto l’anno scorso, grazie a un emendamento del senatore Nannicini, ha colto nel segno con la soglia di sbarramento basata sull’età (20 anni) e sullo stipendio lordo (un milione) così da tutelare la fascia, molto numerosa, dei calciatori meno noti. Con più coraggio sarebbe stato meglio alzarla, ma il compromesso funziona. Tuttavia, se il calcio italiano resta appeso a un espediente fiscale, sarà sempre un minus habens tra i campionati top. I club devono creare basi più solide per la loro competitività”, si legge.
(Fonte: Corriere dello Sport)
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