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Tre italiane nelle tre finali europee. L’ultima volta nel 1994. Vi sembra poco? Abbiamo battuto club come Barcellona, Tottenham, Liverpool, Porto, Benfica, Sporting (che aveva piegato l’Arsenal), Real Sociedad, Bayer e senza particolari colpi di fortuna, al netto della mano fatata di Patrick Kluivert nei sorteggi Champions che ha sicuramente disegnato una corsia preferenziale. Cinque semifinaliste su dodici, col Napoli che domina il nostro campionato ma va fuori nel derby con il Milan. E con l’uscita di scena della Juve ai supplementari contro una squadra che pochi giorni prima aveva umiliato il Manchester United. Fa male, certo, ma non è una vergogna.
Quest’anno avrò visto centinaia di partite di calcio europeo. Anche voi, immagino. Le squadre della borghesia in Germania, Spagna e Francia non hanno nulla più delle nostre, e anche nel paradiso Inghilterra i soldi non sempre regalano la felicità, pensate ad esempio a questo Chelsea confuso e infelice. L’Inter parte sfavorita col City ma in questo momento in Europa ha poche squadre davanti. Roma e Fiorentina proveranno a fare la storia. Ma la vera partita sarà quella che giocheranno da questa estate dirigenti e tecnici. A loro spetta la possibilità (e la responsabilità) di trasformare questo mitico 22-23 in una regola, e non nella più dolce delle eccezioni.
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