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Filucchi: “Così l’Inter 2010 sconfisse il Bayern. Mourinho carisma mostruoso. Questa Inter…”

Filucchi: “Così l’Inter 2010 sconfisse il Bayern. Mourinho carisma mostruoso. Questa Inter…” - immagine 1
Stefano Filucchi, ex vicedirettore generale dell'Inter, era a Madrid 15 anni fa quando l'Inter vinse la Champions
Gianni Pampinella Redattore 

Stefano Filucchi, ex vicedirettore generale dell'Inter, era a Madrid 15 anni fa quando l'Inter vinse la Champions. Intervistato da Il Giornale. il dirigente ricorda così quei giorni: "Com'era, il clima all'interno? Più la tensione o più l'entusiasmo? Una determinazione pazzesca. Io ho vissuto quella stagione accanto alla squadra, ero vicedirettore generale, andavo in panchina con loro nelle partite in casa come addetto all'arbitro e nella panchina aggiuntiva negli incontri in trasferta. In trasferta avevo vissuto il 17 maggio quella partita decisiva che fu la vittoria a Siena, con il gol di Milito che ci fece vincere lo scudetto. Da quel momento la sensazione del gruppo era che la vittoria della Champions fosse la conseguenza logica della vittoria in campionato".

Filucchi: “Così l’Inter 2010 sconfisse il Bayern. Mourinho carisma mostruoso. Questa Inter…”- immagine 2

"Ricordo la cena alle cinque, prima di andare allo stadio. La squadra, Mourinho e il suo staff, io, Lele Oriali, Marco Branca e ovviamente il presidente Massimo Moratti. Alle cinque meno un minuto erano tutti già seduti. Per chi sgarrava anche di poco c'erano le multe, che poi capitan Zanetti raccoglieva e dava in beneficenza. Ma quasi mai servivano. C'era una disciplina quasi militare. Nessun ritardo ammesso, via i cellulari a tavola e in pullman».

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Mourinho era un sergente di ferro?

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«Aveva un carisma mostruoso, non gli serviva essere un sergente, anche perché aveva in squadra il gruppo degli argentini che tenevano in riga tutti. Anche i più indisciplinati all'esterno, i più guasconi, all'interno erano di una serietà irreprensibile. Tutti sapevano a memoria i tempi: i tempi per ridere, i tempi per lavorare, i tempi per pensare alla vittoria».

 «Quando sbucavano dal tunnel in campo sembravano un'armata, facevano paura anche fisicamente, una parte di loro rasentava i due metri. La vittoria di Barcellona in semifinale racconta bene la mentalità, dopo il fischio finale partirono chissà come gli idranti e noi tutti anziché arrabbiarci rimanemmo lì, a innaffiarci e a fare festa. Era la conferma della grandezza della squadra».

La partenza per Madrid fu un inferno organizzativo, «la squadra viaggiava sul suo aereo privato, ma eravamo sommersi di richieste da tutto il mondo per essere presenti in qualche modo: a differenza di Monaco arrivare in auto a Madrid non è facile, ma c'è chi lo fece e anche chi viaggiò in aereo con quattro scali». E adesso? «Di quella squadra rivedo la determinazione. È un po' meno rodata dell'Inter del 2010; ha avuto entrate recenti, ma ha fatto vedere grandi cose. Ha un presidente come Beppe Marotta che ha fatto un lavoro ammirevole. Certo, per me l'Inter del triplete è legata in modo indissolubile a Massimo Moratti, un personaggio irripetibile nella storia del calcio italiano: per la sua generosità, per l'affetto che aveva per i calciatori, per la sua intelligenza. Di Moratti non ne fanno più».

(Il Giornale)