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Walter Mazzarri è pronto a tornare in panchina. L'allenatore nell'intervista al Corriere dello Sport è tornato anche sull'avventura all'Inter: "Dopo tanto tempo torno a parlare, concedo un'intervista. Sono sparito perché quella era la mia volontà. Se avessi voluto allenare avrei potuto farlo, le offerte non sono mancate. Non sono più stressato e ossessivo come un tempo. Quando stai in un mondo come il nostro non devi pensare solo a fare l'allenatore, non basta far rendere i giocatori per poi trascurare i rapporti. A 62 anni mi rendo conto che hanno ragione quelli che, magari non conoscendomi, mi considerano antipatico. Ecco, credo di aver pagato un po' troppo i miei atteggiamenti, la mia ritrosia. Come si dice adesso? Scarsa empatia. La carriera parla per me. Ecco perché, non essendo rimasto tanto simpatico, purtroppo anche a qualche giornalista, non ho avuto quello che meritavo. Sono partito da meno di zero. Ho pensato esclusivamente al campo, tutto il resto lo consideravo, più che accessorio, inutile. Pensavo che dovesse bastare il campo e ho sbagliato. L'età e le soste volute o forzate mi hanno aiutato, sono cambiato, un cambiamento naturale. In questo periodo mi sono reso conto dei cambiamenti del calcio e li ho approfonditi".
INTER - "Ho pagato l'antipatia di persone che non vedevano l'ora di attaccarmi e farmi fuori. Di Inter, quell'anno, c'era solo la maglia nerazzurra, basta dare un'occhiata alla formazione per rendersi conto che non era competitiva, non all'altezza del nome che portava. Con l'esperienza che ho oggi non avrei probabilmente accettato, anche se l'Inter è un posto prestigioso. Quando alleni un club di quell'importanza devi poter disporre di una squadra potenzialmente da primi tre posti, altrimenti preparati a essere contestato ogni tre giorni. Un grande equivoco, quell'esperienza. Anche se poi, rispetto a chi è arrivato dopo e a chi mi aveva preceduto, ho fatto meglio. Io quinto, loro ottavi. A volte sento allenatori di squadre importanti che accampano molte più scuse di quelle che accampavo io. Quando perdi non puoi dire 'la squadra non è all'altezza del club, del suo blasone'. Se pensi al Napoli, dove ho fatto la storia e si perdeva poco, la quota degli alibi era praticamente azzerata. Certe etichette te le appiccicano addosso quando sei costretto a mentire, a difendere il gruppo. Nel calcio perdi poche volte se hai i campioni, se invece sei costretto ad arrangiarti per portarla a casa, il segno della croce non basta. Uno schema riesce meglio se chi lo esegue ha qualità, non sbaglia lo stop, rispetta i tempi di gioco, non fa saltare i sincronismi. Questo è l’abc. Se fai tutte le cose per bene e nel momento in cui arriva la palla dove vorresti che arrivasse, quella rimbalza, cioè cade su un piede poco educato, addio buone idee. E l’allenatore che c’entra? Quando si valutano gli allenatori bisogna considerare il valore del gruppo. La tecnica si può e si deve migliorare, ma a tutto c’è un limite. È inutile che l’allenatore abbia mille idee, prepari schemi a destra e sinistra, se poi basta uno stop sbagliato per annullare ogni sforzo. Non c’è niente da fare: i tempi di gioco li detta la tecnica".
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