Ma c’è una frase che diventa quasi inaccettabile, quando Ibra parla di congetture e invenzioni giornalistiche in riferimento alle incomprensioni con Furlani. Insomma, quei cattivoni e pettegoloni si sono permessi di obiettare su un rapporto che viaggia d’amore e d’accordo, senza nubi. Ci vorrebbe la mitica canzone di Pupo “Su di noi” magari da mandare a San Siro già stasera dopo la semifinale di andata contro l’Inter per una Coppa Italia che ora, in casa Milan, non è più un portaombrelli ma un trofeo di incalcolabile valore. Obiezione: se fosse come dice Zlatan, per quale motivo è andato a Londra per incontrare presunti papabili alla poltrona di direttore sportivo senza passare da Furlani, magari avvertendolo, tuttavia incassando poi – almeno fin qui – un bel due di picche? Guardacaso, dopo quel blitz Furlani ha deciso di salire su un aereo e di volare negli States per incassare il placet che qualsiasi decisione passa da lui e non si tratta di semplice potere di firma. La sensazione, molto più di una sensazione, è che il carismatico svedese dovrà mettersi in fila, accettare o al massimo avallare le decisioni di Furlani, senza alcun tipo di potere.
E a quel punto le famose illazioni avrebbero motivo di esistere: non è che due dirigenti debbano per forza litigare, ma se uno decide e l’altro si adegua (Zlatan) non c’è una terza via tra accettare senza troppa voce in capitolo oppure salutare e lasciare il club. Ibra non si offenda, ma è meglio dire le cose in faccia, ovviamente lui è libero di fare come gli pare, il manifesto della sua vita sportiva. Ma per il suo interesse è bene che stravolga la strategia comunicativa, spesso (se non sempre) fuori tempo e fuori luogo. Sono finiti i tempi di un colpo di tacco da celebrare come gli pareva. Adesso si tratta di capire come abbia potuto agire da dirigente sbagliando scelte, tempistica e parole: troppo. Meglio: troppo poco per stare nella stanza dei bottoni o presunta tale di Casa Milan", conclude.
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