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fcinter1908 ultimora Spalletti: “Italia? Addio mi toglie il sonno. Colpa mia: Bastoni, Barella e Dimarco…”

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Spalletti: “Italia? Addio mi toglie il sonno. Colpa mia: Bastoni, Barella e Dimarco…”

Spalletti: “Italia? Addio mi toglie il sonno. Colpa mia: Bastoni, Barella e Dimarco…” - immagine 1
Le parole dell'ormai ex commissario tecnico azzurro sull'avventura terminata con grande rammarico alla guida dell'Italia
Daniele Vitiello
Daniele Vitiello Redattore/inviato 

Luciano Spalletti non riesce a farsene una ragione. Quando è arrivato sulla panchina dell'Italia sperava in tutt'altro percorso, guidato da quel senso di responsabilità verso il movimento e tutto il Paese che ha guidato ogni giorno il suo cammino. Non è andata come sperava, anche per colpa sua e non fatica ad ammetterlo. E' tornato sul tema in una intervista concessa a La Repubblica.

Spalletti: “Italia? Addio mi toglie il sonno. Colpa mia: Bastoni, Barella e Dimarco…”- immagine 2

Qui alcune delle sue considerazioni: «Non mi passa mai. Mi toglie il sonno, mi condiziona in tutto, perché il pensiero torna sempre lì. Certe volte mi sembra di essere felice, poi però dopo un attimo mi torna in testa quella cosa lì. Non sono riuscito a far capire ai ragazzi che gli volevo bene».

Un suo amico, Walter Sabatini, ci ha detto che crede sia il più grande dolore sportivo della sua vita perché lei era calato nel ruolo di ct in maniera assoluta.

«Quando mi hanno proposto di guidare la Nazionale non ci ho dormito due giorni: la cicatrice sarà dolorosa anche quando avrà fatto il suo percorso di guarigione».

Pensa sia stato un errore accettare quell’incarico?

«No. Anche perché la Nazionale non chiede, la Nazionale chiama. Non si sceglie se accettare, non c’è una riflessione razionale da fare. Quando la Nazionale chiama, deve gonfiarsi il petto e devi metterti a piena disposizione... Ecco, forse questo è uno dei concetti che stiamo perdendo».

Lo ha detto ai calciatori?

«Il mio errore è stato, all’inizio, pigiare troppo su questo senso di appartenenza, di identità. Chiedere di cantare l’inno. Di fare un grido di battaglia prima di ogni allenamento. Volevo stimolare quell’orgoglio che provavo io, ma è stato troppo».

Non sarà che in Italia non ci sono più grandi calciatori?

«No, l’ho detto anche a loro: non vi fate fregare da chi dice che siete scarsi: siete di alto livello. Anche se è finita così e la responsabilità è solo mia, non mi priverei mai di Bastoni, Barella, Dimarco: del mio gruppo storico, insomma. Dopo l’Europeo eravamo tornati a fare le cose giuste, ho pensato che avessimo trovato la via. Ma, come succede a volte nelle nostre campagne, tu scavi il solco per l’acqua, ma quella prende una strada sua. E scava, e scava e alla fine si crea una voragine».

Come è successo?

«In quei mesi abbiamo avuto una pressione enorme, come l’ombra di un Polifemo sulle spalle, non siamo riusciti a liberarcene. Mentre dicevamo che bisognava dare di più, non riuscivamo a fare neanche il minimo sindacale. Da marzo a giugno, dalla Germania alla Norvegia, abbiamo preso dei gol troppo banali per essere veri. Anche nell’ultimo ritiro prima della sconfitta con la Norvegia sono successe cose inaspettate, tanti infortuni anche facendo venti minuti di allenamento».

Crede che un gruppo di calciatori l’abbia rigettata?

«Se fosse vero questo, vorrebbe dire che ho sbagliato del tutto le mie considerazioni: io risceglierei sempre quel gruppo di uomini e calciatori».