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Non c’è niente di meglio dell’Inter di Simone Inzaghi. Una parola per ognuno di questi eroi

Non c’è niente di meglio dell’Inter di Simone Inzaghi. Una parola per ognuno di questi eroi - immagine 1
Editoriale di una nottata che non dimenticheremo mai
Sabine Bertagna Vice direttore 

Questa Inter ci somiglia così tanto. Ci somiglia Davide Frattesi che dopo l'urlo del gol, la cavalcata e l'arrampicata sul cancello (che aveva guardato scaramanticamente appena entrato in campo) si accascia per un attimo sul campo per un giramento di testa. La pressione, l'euforia, quella ventata di emozioni che ti sconquassa il cuore prima della voce. Passano i minuti ma Davide non ha nessuna intenzione di abbandonare il campo. Il suo campo, battezzato nel finale come solo lui sa fare. E sembra semplice ma non lo è per niente. "Ho pensato: o segno o sono fottuto", ha confessato a Henry. E chissà se in quella frazione microscopica di un secondo ad un calciatore gli passano davanti tutti i momenti più bui, quelli che ti hanno reso un po' più forte e giorno dopo giorno ti hanno spinto in quell'esatto punto del campo con quella precisa idea di segnare e portare la tua squadra in finale di Champions League. Chissà.

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Ci somiglia tantissimo Simone Inzaghi, che in partite come queste non si rilassa mai. Che prende la pioggia come se le secchiate di acqua non fossero indirizzate a lui. Che saltella in maniera maniacale ma precisa intorno al campo, seguendo un'azione e urlando l'ennesima raccomandazione. Lui è in campo con loro, se potesse vincerebbe contrasti e sgomiterebbe fianco a fianco con loro. Guadagnerebbe falli importanti per prendere respiro. Lui che questa Inter l'ha ricostruita con pazienza e amore, dedicandole ogni singolo minuto delle sue giornate ma anche delle sue nottate. Lui che non è di grandi proclami, preferisce che gli applausi vadano a chi gioca e a chi si sacrifica per questa Inter. Ma questa Inter combacia perfettamente con Simone Inzaghi. È una cosa sola. Una cosa bellissima, dove i contorni di uno finiscono per essere quelli dell'altro. È così che si diventa una squadra difficile da battere. È solo così che si può arrivare in finale.


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Ci somiglia meravigliosamente, questa Inter. Sugli spalti e in campo si sente la stessa musica. È un canto che si leva dai cuori e che infonde la giusta energia alle gambe dei ragazzi di Inzaghi. Loro la sentono questa energia. "Non poteva che finire così", fa notare Thuram. "80.000 contro 11". Ed è un'immagine struggente quella di una squadra che lotta per il suo popolo. Epica e indimenticabile. Nessuno dimenticherà le emozioni di ieri sera. Non chi era allo stadio e ha faticato a trovare sonno, una volta rientrato tra le mura di casa. Non chi l'ha vissuta sul divano saltellando un po' come Inzaghi e che al gol di Acerbi ha rotto una diga di lacrime. Il gol di chi non si arrende mai, buttato dentro da un difensore "vecchietto" con un guizzo da bomber dell'area. "Gli hai detto tu di salire?", hanno chiesto a Simone Inzaghi nel post partita. E lui ha risposto: "No, ma nessuno gli ha detto di tornare". E così Ace, come lo chiamano tutti, è andato a fare il suo dovere anche nell'area avversaria. Il suo gol è stato un urlo di battaglia nuovo, che i minuti finali avevano assopito. Possiamo ancora farcela. Dobbiamo farcela.

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C'è stato un momento impercettibile nel quale i giocatori del Barca hanno mollato la presa su questa partita. Nonostante continuassero ad essere pericolosi, c'è stato un momento nel quale le loro gambe - pur correndo - dicevano che questa partita era finita. Quel secondo di ritardo nell'intervento, quello spazio che improvvisamente si piegava e accettava l'irruenza dell'avversario. C'è sempre un momento in queste partite così pazzesche ed epiche nel quale chi sta perdendo riconosce la forza di chi sta vincendo. Non a parole ma nei gesti meno evidenti. Anche ieri è stato così. Il Barca si è dovuto piegare all'Inter famelica e mai doma. All'Inter di ieri sera vorremmo sempre somigliare. Nel calcio come nella vita. Sempre.

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I ragazzi di Inzaghi andrebbero nominati tutti, dal primo all'ultimo. Nell'impresa di ieri sera c'è un pezzo di ognuno di loro. Non solo nell'impresa di ieri sera ma in tutto il percorso straordinario fatto in questa Champions League. Lautaro, che alla viglia del match ad Appiano scattava come se non si fosse infortunato una settimana prima, ha reso possibile tutto questo. Ha tirato il carro senza risparmiarsi e lo ha fatto con una maturità imponente. La sua fame è la fame dell'Inter. Thuram, eroico. Non ha smesso di correre, lottare, sportellare con chiunque indossasse una maglia blaugrana. Frattesi si è preso le prime pagine come solo lui sa fare. Mente libera, piede che non sbaglia. Su quel cancello che unisce la gente dell'Inter e l'Inter si celebrano i destini più belli. Calhanoglu, che non sbaglia quel rigore mai. Barella, che vorrebbe essere più esteta ma che diventa anche essenziale. Mkhitaryan è dove ci sono pericoli ma anche dove nascono le idee, non puoi fare a meno di lui. Bastoni che insegna come deve agire e soffrire un difensore, in maniera intelligente e mai sconsiderata. Immolandosi, tornando, costruendo. Acerbi è la rivincita di chi pensa che la pensione sia l'idea giusta per uno come lui: stiamo forse scherzando? E de Vrij che nel finale fa esattamente ciò che deve, con sacrificio e intransigenza. Anche lui è uno dei meravigliosi "vecchietti" di questa Inter.

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Dumfries confeziona assist per chiunque. Stagione straordinaria per lui, che lo eleva a giocatore eccezionale. Da quando è rientrato dall'infortunio è una furia. Bisseck sta facendo parecchi anni di scuola tutti insieme, impara e migliora e cresce. E in notti come queste, con Pavard fermo ai box, sa essere all'altezza di tutto. Darmian, soldato imprescindibile che viene a fare il lavoro sporco proprio dove ti serve. Zielinski con la sua qualità. Taremi su Yamal è asfissiante, non lo lascia ragionare né respirare. Il piede di Lamine lancia siluri anche da fermo e Mehdi lo addomestica, lo insegue. Forse anche nei sogni. Yann Sommer ha fatto un capolavoro, ieri. 59 i palloni toccati, neanche fosse un giocatore di movimento. E quelle parate incredibili, a tirare fuori la prestazione più eccezionale di sempre alimentando a Monaco enormi nubi di rimpianti. Pensavamo tutti che Carlos fosse la scelta migliore dopo l'andata a Barcellona e invece Dimarco ha sfoderato una partita enorme, come è sempre stato nelle sue corde. Augusto è subentrato portando avanti fedelmente la missione su quella fascia. Enormi lo sono stati tutti. Anche quelli in panchina che hanno sofferto come i pazzi. E che ci somigliavano tantissimo in quei lunghi minuti finali prima del catartico fischio finale. Stritolati dalla morsa di ciò che stavamo per realizzare. "Come San Siro non c'è niente", ha sancito Federico Dimarco godendosi lo spettacolo della sua gente. Ma aggiungiamo un dettaglio che non lo è. Come l'Inter di Simone Inzaghi non c'è niente. E ieri, finalmente, se ne sono accorti proprio tutti.