Stavolta non si gioca al Camp Nou, tempio costruito anche grazie a suo padre.
«Il suo rapporto col Barcellona è stato di amore, forse poco compreso. Gli ha lasciato quasi un sapore agrodolce, anche se non se ne è mai lamentato: non è un caso unico, il Barça ha sempre avuto un rapporto particolare con i propri idoli, li ha apprezzati e rimpianti dopo. Sono curioso di vedere come sarà il nuovo Camp Nou, un pezzo del vecchio si deve a lui che, fino a Rodri, è stato l’unico Pallone d’oro spagnolo».
Vede qualche Suarez in questa partita?
«Lamine e Pedri sono artisti e la garanzia di tante vittorie in futuro. In nerazzurro mi piace la vitalità di Barella e Lautaro. È vero che le due squadre arrivano in modo diverso a questo appuntamento, ma la Champions cambia tutto, soprattutto se si affrontano due squadre così piene di storia».
Quella della Grande Inter la sente ancora intorno alla sua famiglia?
«Ogni volta che sono venuto a Milano ho parlato con Gianfranco Bedin, un fratello che gli è stato sempre molto vicino. La Grande Inter è memoria collettiva: nessuno juventino o milanista ne parlerebbe mai male».
Negli ultimi anni, sorprendeva vedere suo padre sedersi in una stazione di benzina di Milano e conversare con sconosciuti.
«Era semplicemente lui. Lo guidavano l’umiltà e la voglia di stare insieme. Non ha mai pensato che un Pallone d’oro fosse diverso da una persona normale, lì ritrovava l’umanità di uno sport che non c’è più. Gli bastava sentirsi voluto bene. So che gliene vogliono ancora tutti. Ancora di più prima di un Barça-Inter…».
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