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Francesco Acerbi ricostruisce nelle pagine della sua autobiografia il suo passaggio all'Inter.
"Si era parlato di un interesse da parte del Napoli, del Marsiglia, ma quando arrivò la chiamata dell'Inter sapevo che era quella giusta. Mi dissi: "Francesco, questa è la tua occasione per giocare nel club che hai sempre guardato con rispetto, quasi con soggezione. Ora sei qui. Tocca a te".
Cosa significa essere un giocatore dell'Inter? Significa vivere un sogno ma anche confrontarsi quotidianamente con pressioni e aspettative: "Perché all'Inter non basta esserci: devi meritartelo ogni giorno. L'approccio non è stato semplice. Quando entri in uno spogliatoio come quello nerazzurro, ogni sguardo pesa. Lì si respira ambizione, si sente la pressione delle aspettative. Devi dimostrare subito di essere all'altezza, anche se hai esperienza, anche se hai un passato importante. Non basta quello che hai fatto prima. Conta quello che fai adesso. Non mi sono mai tirato indietro. Ho ascoltato, osservato, e poi ho cominciato a parlare il mio linguaggio: quello del campo. L'allenamento, la concentrazione, la corsa. Giorno dopo giorno, ho lasciato che il mio modo di stare dentro il calcio parlasse".
Acerbi si è guadagnato la fiducia di Inzaghi e quella dei compagni "non con frasi a effetto, ma con la serietà, con la coerenza, con l'affidabilità. Quando sai che puoi contare su qualcuno, lo capisci in silenzio. E io volevo essere esattamente quello: uno su cui poter contare, senza fronzoli".
E i tifosi, quando hanno capito chi era veramente Francesco Acerbi: "Ho imparato a non aspettarmi applausi, né a cercarli. Quando arrivi in un club come l'Inter a trentatré anni, devi essere pronto a sentire il giudizio addosso ogni domenica. Sapevo che il tifoso nerazzurro è esigente, si aspetta sempre il massimo da chi indossa quella maglia. Io non chiedevo altro: ero li per giocare, non per essere giudicato. A poco a poco la gente ha cominciato a capirlo. Hanno visto che non ero li per occupare spazio, ma per guadagnarmelo. Hanno capito che non avevo paura di metterci la faccia. E che, ancora una volta, ero pronto a fare la mia parte".
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