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fcinter1908 news interviste Ausilio: “Ecco i colpi di cui vado più fiero. Kvaratskhelia l’errore più grave. Una volta…”

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Ausilio: “Ecco i colpi di cui vado più fiero. Kvaratskhelia l’errore più grave. Una volta…”

Fabio Alampi Redattore 
Il direttore sportivo dell'Inter si racconta, dagli inizi come calciatore alla sua scalata come dirigente in nerazzurro

Piero Ausilio, direttore sportivo dell'Inter, si raccontato ai microfoni de La Gazzetta dello Sport, dagli inizi come calciatore alla sua scalata come dirigente in nerazzurro: "Mi sono scontrato con Cudicini, che poi è diventato mio amico, e il ginocchio mi è saltato per aria: cartilagine, menisco, anche legamento. Giocavo da sempre nella Pro Sesto, ho cominciato a 7 anni, e la mia carriera è finita lì. Ricordo, di quella partita, la mia disperazione e la sensibilità di Capello che allora — era la fine degli anni 80 — faceva il dirigente al Milan: è venuto negli spogliatoi a farmi coraggio".

Com'era il calciatore Ausilio?

"Bravo. Bravino, dai. Un centrocampista non veloce ma con senso della posizione. Ha presente Cambiasso? Una cosa del genere, solo un po' peggio".

Se vedesse oggi un Piero Ausilio, lo porterebbe all'Inter?

"Macché, l'Inter è troppo. Penso però che sarei diventato un buon professionista, diciamo da Serie C, al massimo B. Avevo sedici anni e già mi allenavo con la prima squadra che era in C1. E la C1 dell'epoca era una cosa seria".

Quasi deve dire grazie a Cudicini, insomma: senza quell'incidente la sua storia nel calcio non sarebbe stata così felice.

"Ho ringraziato Carlo tante volte (sorride). Quello scontro fortuito ha cambiato il corso degli eventi in positivo. Solo che allora non lo sapevo. E soffrivo".

Si è arreso subito all'infortunio?

"Ho lottato due anni: un intervento, poi un altro. Un calvario. Alla fine ho mollato, non mi sono nemmeno fatto mettere a posto il legamento: ce l'ho ancora rotto. Quando ho provato a giocare qualche partita di calcetto, cadevo da solo. E allora ho detto basta: non ho più toccato il pallone".

Quando ha deciso di fare il dirigente?

"All'inizio avevo in testa la panchina, ho fatto per due anni l'assistente dell'allenatore degli Esordienti. Volevo stare vicino al campo, solo lì mi sentivo bene. Avevo ventuno anni quando il presidente della Pro Sesto, Giuseppe Peduzzi, mi ha detto una frase che mi ha cambiato la vita".

Quale frase?

"Mi ha detto: ci sarà sempre un allenatore migliore di te perché ti manca l'esperienza da calciatore, ma sei sveglio e potrai fare un bel percorso da dirigente. All'inizio non l'ho presa bene e me ne sono andato. Poi ho capito che aveva ragione lui".

Nel calcio ha fatto di tutto.

"Alla Pro Sesto ho cominciato come responsabile organizzativo del settore giovanile. Avevo vent'anni quando ho iniziato a frequentare il calciomercato".

Quel mondo la affascinava o la intimoriva?

"Ero incantato: Mazzola, Braida, Giorgio Vitali, Perinetti, Rino Foschi, anche Marotta... Ero un ragazzino, li guardavo e cercavo di capire".

Finché non l'ha chiamata l'Inter.

"Era il '97, Moretti mi ha chiesto di fare il segretario del settore giovanile. Erano solo sei mesi di contratto, ma ho accettato. E non sono mai più venuto via da qui, crescendo in modo graduale".

Non è riduttivo avere lavorato sempre e solo lì?

"Ma l'Inter è stata una grande scuola, ho provato tutto. Comprese quattro proprietà diverse: Moratti, Thohir, Suning e, ora, Oaktree".

Ha portato all'Inter tanti grandi giocatori. Di quali va più fiero?

"Kovacic e Brozovic, che abbiamo scelto con Branca. E poi Onana, preso gratis e ceduto a 55 milioni dopo un anno. E Lautaro, Bisseck, Thuram...".

L'operazione più difficile?

"Mercato invernale, vendo un giocatore all'estero e respiro: il periodo era durissimo, faticavamo a pagare gli stipendi. Quando stiamo per firmare mi chiama un notissimo avvocato divorzista: non può far partire il calciatore, la moglie vuole la separazione, abbiamo chiesto il ritiro del passaporto. Li ho chiusi in una stanza finché non hanno sistemato tutto: accordo per il divorzio e cessione del giocatore. Non so se sia stata l'operazione più difficile, ma forse per l'Inter è stata la più importante".

Qual è l'errore più grave che ha commesso?

"Kvaratskhelia. Ma non ho sbagliato solo io, lo hanno offerto a tanti grandi club in Italia. Solo che noi giocavamo con il 3-5-2 e lui è un calciatore da 4-3-3, per questo non lo abbiamo preso".

I suoi figli amano il calcio?

"Giulia ha preso tutta un'altra strada. Niccolò con i piedi non era buono, ha smesso ma ha passione: vede mille partite, studia i giocatori. Quando Jashari è andato al Milan mi ha rimproverato".

E perché?

"Mi ha detto: te l'ho consigliato quando era al Lucerna, te lo sei fatto scappare. È vero, ma mica li possiamo prendere tutti noi quelli bravi".