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Crespo: “Dopo il primo addio all’Inter piansi e Vieri fece un gran casino. Quando sono tornato…”

Matteo Pifferi Redattore 
"A gennaio c’era la possibilità di andare al Real Madrid, ma dissi di no per vincere il terzo Scudetto consecutivo", rivela Crespo

"Per i giocatori della mia generazione, il Milan di Berlusconi rappresentava la perfezione del calcio. Tutto funzionava, tutto era perfetto: parlavano solo Berlusconi, Galliani e Braida, noi dovevamo pensare a giocare a calcio e fare bene. E non è un caso che abbia vinto per tantissimi anni. A livello emotivo tutti i club mi hanno dato molto, il Parma, l’Inter, la Lazio, il Chelsea e tutti gli altri. In generale sento di non avere una maglia in Italia: ovunque io vada mi salutano e mi ricordano con rispetto, per me è una grande soddisfazione". Così l'ex attaccante argentino Hernan Crespo intervistato da Luca Toni per Prime Video.

L’addio al Milan e i messaggi dopo Atene: questa Champions è anche tua. "Avevo già firmato per rimanere, poi Galliani ha deciso di prendere Vieri e io sono andato al Chelsea. Mi è dispiaciuto moltissimo andare via, è stato durissimo: era un gruppo fantastico, sano, di persone vere. Finivamo le partite e mangiavamo insieme con le famiglie. Due anni dopo, quando il Milan vinse la Champions League ad Atene - ha aggiunto - e io ero all’Inter, mi sono arrivati dei messaggi da ex compagni e addetti ai lavori del Milan: mi dicevano che quella coppa era anche mia. Per me, per assurdo, è stato il trofeo più grande".

Il primo addio all’Inter. "Io volevo restare all’Inter e avevo anche preso casa. Poi succede che la società mi vende al Chelsea, dove non volevo andare. Vieri alzò la voce dicendo che dovevo restare e scatenò un gran casino, ma Cuper aveva altri piani. Non dimostrò empatia. Sono uscito dalla Pinetina piangendo, all’Inter stavo alla grande. Ma il calcio è così, è la società che decide", ha ricordato.

"Quando torno all’Inter, dopo i primi due Scudetti con Mancini, la società mi mette un po’ al capolinea. Nell’estate 2008 potevo andare alla Roma, ma la società non voleva perché era concorrente diretta. A gennaio c’era la possibilità di andare al Real Madrid, ma dissi di no per vincere il terzo Scudetto consecutivo, il primo sotto Mourinho. Con Jose il rapporto andava alla grande: il suo modo di trattare i giocatori era incredibile", ha aggiunto.


"A Parma un giovane Buffon a fine allenamento ci sfidava: 'Mi sono rotto, adesso non mi fate neanche un gol'. Calciavamo io, Veron, Chiesa, Balbo, Asprilla, da fuori area nessuno segnava. Sì capiva che poteva diventare il numero uno, aveva personalità a mille. Si lanciava di testa sui piedi come se nulla fosse, era impressionante.  Messi era uno spettacolo, l’ho visto per la prima volta a 18 anni. In allenamento dribblava tutti con la palla attaccata ai piedi - ha concluso - la toccava trecento volte e non la perdeva mai. I vari Burdisso, Milito e Scaloni gli davano certe stecche, lui si alzava e li ripuntava ancora, non si tirava mai indietro: ti puntava, ti saltava, ti guardava senza dire nulla, poi di nuovo da capo. Aveva una personalità impressionante"