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Intervistato da La Gazzetta dello Sport, l'ex attaccante di Bologna e Inter Julio Cruz ha parlato della sfida di questa sera:
Julio, lei ha giocato due anni con Christian Chivu proprio in nerazzurro: ce lo racconti davvero.
«Scelta perfetta, a quanto so, di Beppe Marotta che a un certo punto lo ha voluto fortemente. Scelta vincente. Abbiamo diviso lo stesso spogliatoio due anni sì, ragazzo che ha sempre avuto anche la testa oltre che capacità calcistiche, e poi ha grinta, voglia di fare, la determinazione nel voler fare le cose giuste. Un ragazzo che fa bene con la Primavera dell’Inter, riesce a salvare il Parma facendo un grande colpo e il tutto cercando sempre di giocare a calcio, beh, meritava la chance dell’Inter. Non è facile trasmetterla e mantenerla sempre, quell’attitudine a fare calcio: lo ha fatto coi baby, in Emilia e ora qui. E poi, mi pare abbia un gran bel rapporto con la squadra, che anche lui ha saputo risollevare».
Risollevare?
«Non tutti se lo ricordano ma l’Inter che lui eredita è quella che aveva perso la finale di Champions League con un allenatore andato via, Inzaghi, sparito. Rischi di restare abbattuto per mesi e mesi. In un certo senso devi riattivare certe corde. Beh, lui l’ha riattivata, lavorando sulla testa e sul campo. Molti dicono che ha perso contro la Juve, il derby, col Napoli: solo chi non vede a fondo il calcio dice che sono state sconfitte brutte; invece, guardando le gare, l’Inter c’è sempre stata, non sono stati ko meritati, tutt’altro. Forse a Madrid avrebbe dovuto restare più in partita, questo sì e fino alla fine, ma nel resto…».
L’Inter è certamente più forte e completa del Bologna, ma…?
«L’Inter è tornata a essere quella squadra che quando deve vincere lo fa, bene o male lo fa, vedi la gara giocata contro il Genoa. Il Bologna gioca, cerca sempre la verticalità, ha un fare aggressivo e mi auguro davvero che possa continuare con questa marcia per confermarsi ad alti livelli. Vede, se c’è una cosa della quale sono felice è la gioia vista da una città che adoro: la gente in piazza, la vittoria della Coppa Italia, meritata, dopo oltre cinquant’anni, una città rapita dalla gioia».
Castro va verso una sempre maggiore somiglianza con Lautaro?
«Santi è cresciuto molto, moltissimo. I due sono molto simili, soprattutto per la “garra” che mettono, per la convinzione nel voler trascinare, anche per come riescono a vedere la porta, fermo restando che Lautaro ha molta più esperienza e si vede. Castro è più giovane, ha tempo per crescere e credo arriverà a essere un attaccante importante per l’Argentina».
Torniamo a Lautaro: imprescindibile è la parola giusta?
«È sempre il punto di riferimento, fa bene il capitano come quando contro il Liverpool ha dato la scossa a tutti, lui vuole esserci sempre e c’è sempre. A me piace vederlo il più possibile dentro l’area, un attaccante top, un trascinatore assoluto».
E di Pio Esposito e Thuram cosa diciamo?
«Thuram fa tante cose, come succedeva a me. Pio a vent’anni non ha mezza paura di giocare e segnare a San Siro, di combattere e segnare con la Nazionale: ce ne sono pochi così. E anche Bonny è molto interessante».
Come può, il Bologna, battere questa Inter di oggi?
«Restando se stesso: il segreto è tutto lì. Contro la Juventus ha mancato in alcuni principi-base, fors’anche per la stanchezza accumulata fra campionato e Coppe. Questo Bologna ha un’identità forte e assodata: così i rossoblù sono riusciti a vincere partite importanti e anche la Coppa Italia, grazie alla quale è a Riad. E ha tantissimi giocatori bravi. Orsolini è un punto cardinale, Immobile un grandissimo attaccante che vedrete colpirà al momento giusto, Bernardeschi si è ripreso e dentro una squadra che produce tanto, beh, il colpo buono da loro può sempre uscire».
Due flash: il suo Bologna e la sua Inter.
«La gara indimenticabile col Bologna fu una vittoria a Roma alla prima di campionato, fece gol Batistuta ma anche io. Ricordo quando andai all’Inter. Un giorno venne da me Guidolin e mi chiese: «È vero che vai via?». E io: no, davvero non so nulla. E lui: «Se vai via tu, vado via anche io». Due giorni dopo arrivò la prima telefonata dell’Inter e in tre giorni si fece tutto. Qualche tempo dopo tornai a Casteldebole per prendere alcune cose e salutare tutti. C’era Mazzone…».
L’Inter, ora.
«La vittoria contro l’Arsenal, nell’ultima gara dentro il loro vecchio e mitico stadio (Highbury, ndr): dovevamo vincere, avevamo un segnale forte da dare, fu uno 0-3 devastante. Cuper mi disse di stare attento a Campbell in avvio della loro azione e a Vieira, dovevo marcarli: mi feci un mazzo così ma realizzai anche un gol. Fu un vero trionfo. Il calcio d’oggi chiede questo agli attaccanti: Lautaro e Castro sanno fare anche questo, per esempio».
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