Ricorda l’esordio?
—“Certo. Ho ancora una buona memoria. Come puoi dimenticare la prima volta? A San Siro contro la Dinamo Bucarest: 6-0. Le dico anche la formazione: Sarti, Burgnich, Facchetti, Malatrasi, Guarneri, Picchi, Jair, Mazzola, Milani, Suarez, Peirò. Io ho giocato con il 4, mediano. Alla Tagnin, o alla Bedin. Perché sapevo fare un po’ di tutto: il terzino, il libero, ma mi muovevo bene anche a centrocampo. Quel giorno ero felice. Giocavo con la maglia dell'Inter campione d'Europa. Avevo realizzato uno dei miei primi sogni”.
Poi sono arrivati altri traguardi. Un bel riscatto, no?
“Insomma. Tre Intercontinentali (due con l'Inter, una col Milan); due Coppe dei Campioni (Inter e Milan); due Coppe delle Coppe, ma anche una Coppa delle Alpi e una dell'Amicizia italo-francese”.
Helenio Herrera e Nereo Rocco. Com'erano?
—"Il top. Ho sempre detto che con Herrera non mi trovavo bene. So che mi stimava, mi aveva voluto lui. Ero alla Roma emi ha chiamato: “Venga, faremo un buon calcio”. Sì, vero. C’è da dire che Herrera non andava molto d'accordo con Picchi, soffriva la forte personalità del capitano. Voleva comandare, vincere, fare tutto lui. Le racconto questa: dopo una partita di Coppa dei Campioni siamo tornati in ritiro ad Appiano. Io e Mario Corso non avevamo sonno e abbiamo passeggiato fino all'alba nel silenzio. Nei prati c'erano fagiani e lepri".
"Improvvisamente spunta la Mercedes di Herrera. Suona il clacson e mi chiama: "Malatrasi, venga, salga, andiamo all'Arena a giocare il derby con la squadra De Martino". Non stavo in piedi, però lui non ha voluto assolutamente sentire ragioni. Ci teneva a vincere tutto: aveva il premio doppio, anche per le riserve. Questo era Helenio. Era tirchio, ci dava del lei, faceva fatica a parlarci, andava d'accordo soltanto con Luis Suarez".
(Gazzetta dello Sport)
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