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Della stagione 2024/25 Henrik Mkhitaryan scrive con abbondanza nel suo libro, appena uscito (La mia vita sempre al centro", Cairo editore). Ecco cosa scrive di Simone Inzaghi e dell'inizio della scorsa stagione, piena di luci ma anche di ombre.
"Inzaghi era posseduto da se stesso. Particolarmente Demone. Fin dai primi allenamenti della stagione 2024/25, la mia terza all'Inter, ha deciso di aumentare il livello di pressione sulla squadra. Rompeva le scatole in maniera scientifica e continua, una scelta precisa e ponderata per tenere il gruppo al riparo da possibili cali di tensione.
Dopo il ventesimo scudetto, e tutti i conseguenti momenti meravigliosi, voleva evitare che ci sentissimo appagati, con la pancia piena e la testa rallentata. Martellava i nostri pensieri, picconava l'ego, parlava molto. Forse aveva intravisto crepe per gli altri non ancora immaginabili", racconta con precisione chirurgica Mkhitaryan.
Lui, per indole, non si è mai accontentato. Ma qualcosa in quella stagione prende una piega diversa. Qualcosa che ha a che vedere con la continuità della squadra nell'arco dei 90 minuti. "Nel secondo tempo non riuscivamo più a mantenere i livelli del primo. Nella metà iniziale delle partite creavamo occasioni, in quella finale rischiavamo di spegnerci e di perdere", spiega Henrik.
Una notte buia e inspiegabile. Henrik Mkhitaryan la definisce così la finale persa a Monaco contro il Psg. E tuttora il giocatore non riesce a trovare una spiegazione convincente per quella non prestazione:
"Abbiamo perso 0-5, un completo disastro senza scuse. Ma anche senza spiegazione, nel senso che non abbiamo capito il motivo di tale disfatta. Che un calciatore giochi male può capitare, che lo faccia un'intera squadra contemporaneamente no. Un enigma irrisolvibile, un rompicapo da diventare pazzi. Soprattutto, una cicatrice che rimarrà viva e visibile per sempre. Che pulserà senza soluzione di continuità, con strafottenza. Ci siamo bruciati da dentro, nessuno di noi sa dire perché.
Brutti. Lenti. Impacciati. Storditi. Neppure per un secondo, abbiamo avuto la percezione di poter dare una sterzata, di essere in grado di reagire. Hakimi, Doué due volte, Kvaratskhelia, Mayulu: prendevamo gol e schiaffi a ripetizione. Non rivedrò quella partita neppure sotto tortura: non troverei le risposte che cerco, sentirei un dolore lancinante, insopportabile e immutato nella sua intensità. Del nostro spogliatoio, all'Allianz Arena, ricordo solo il silenzio".
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