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Moratti: “Tifare Inter è convivere col rischio infarto. Inzaghi, Barella e la finale che vinceremo…”

Moratti: “Tifare Inter è convivere col rischio infarto. Inzaghi, Barella e la finale che vinceremo…” - immagine 1
Massimo Moratti compie 80 anni. L'ex presidente dell'Inter, intervistato da Il Tirreno, ripercorre la sua vita a tinte nerazzurre
Gianni Pampinella Redattore 

Massimo Moratti compie 80 anni. L'ex presidente dell'Inter, intervistato da Il Tirreno, ripercorre la sua vita a tinte nerazzurre. "Il tempo è volato. Guardi, niente fuochi d’artificio o grandi ricevimenti. Li festeggio in famiglia con grande semplicità: assieme a mia moglie Milly Bossi, vivace e sorprendente come il primo giorno, le sorelle, i figli e i nipoti. E mi piacerebbe che accanto a me ci fossero tre persone care che non ci sono più".

Quindici anni fa la gioia del Triplete culminata con la vittoria in Champions al Santiago Bernabeu. Dalla Beneamata si attende quel tipo di regalo per gli 80 anni?

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«Non sarò a Monaco, ma vedrò la partita sul divano di casa in compagnia di uno dei miei figli. Tifare Inter significa convivere col rischio infarto. Mi è capitato nella semifinale di ritorno contro il Barcellona che ha portato la squadra alla seconda finale in tre anni. Sono sincero: non solo credo che alzeremo la Coppa dalle Grandi Orecchie, ma possiamo ancora vincere lo scudetto. Per aver battuto il Bayern e i catalani, due formazioni stellari, ci meritiamo la Champions. Il calciatore simbolo di questa Inter? Nessun dubbio, Lautaro Martinez. È il capitano ideale. Si mette davanti alla squadra, soffrendo e stringendo i denti quando è necessario. Ma sono stati bravi tutti da Thuram ad Acerbi, che incarna l’autentica anima interista capace di non mollare neanche quando tutto sembra perduto».


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C’è un giocatore tra i nerazzurri di oggi che incarna lo spirito della sua Inter?

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«Barella. È migliorato tantissimo. Un calciatore che ti coglie di sorpresa, salta l’uomo, combatte, è pericoloso in attacco e aiuta in fase difensiva. Per questo è amato dai tifosi».

Ha cambiato idea su Simone Inzaghi?

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«Confesso che non lo conoscevo abbastanza e all’inizio non lo consideravo adatto all’Inter. Mi sono dovuto ricredere: è un allenatore completo. Bravo nella comunicazione, nella gestione dei momenti difficili, tatticamente preparato e dotato di buon senso. Tra gli allenatori che ho avuto per certi versi mi ricorda Gigi Simoni, a cui resto affezionato assieme ai suoi meravigliosi ragazzi del 1997-98 che non vinsero lo scudetto per colpa di un sistema malato emerso anni dopo con Calciopoli. Anche Inzaghi, come faceva Simoni, nelle dichiarazioni usa pacatezza e non si esalta. Un antidivo diametralmente opposto a Mourinho. Su Marotta non ho mai avuto dubbi: l’avevo cercato ai tempi in cui era direttore nella Sampdoria dell’amico Mantovani».

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C’è oggi un calciatore che le ricorda Ronaldo il Fenomeno e c’è stato un giocatore che non è riuscito ad ingaggiare?

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«Ronny era unico ed inimitabile. Ma nel Barcellona mi ha impressionato Lamine Yamal, 17 anni e mezzo. Un giocatore pazzesco, con riflessi incredibili e che gioca con una semplicità disarmante. Il campione del futuro. Ai tempi della mia presidenza avrei voluto acquistare Cantona, con la sua personalità e le sue qualità l’Inter avrebbe vinto di più e molto prima. Ma era squalificato e ripiegammo su Paul Ince».

Facchetti e Prisco due interisti che le mancano tanto...

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«Giacinto era prima di tutto una persona perbene. Un atleta eccezionale e un uomo dotato di grande buon senso mantenendo la schiena dritta. L’avvocato Peppino, dietro la sua ironia e l’innata simpatia, era un eroe di guerra e un principe del foro che nel suo lavoro aveva pochi avversari. Poi vorrei ricordare anche un altro collaboratore a cui sono molto affezionato e con il quale conservo un rapporto di amicizia...»

(Il Tirreno)