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Salsano: “Ibra il più difficile da gestire. Quello che chiamano scudetto di ‘cartone’…”

Salsano: “Ibra il più difficile da gestire. Quello che chiamano scudetto di ‘cartone’…” - immagine 1
Intervistato dalla Gazzetta dello Sport, Fausto Salsano, storica spalla di Mancini, ricorda il suo periodo a Milano
Gianni Pampinella
Gianni Pampinella Redattore 

Per vent'anni Fausto Salsano è stato la spalla di Roberto Mancini. Per la prima volta ha scelto di non seguirlo all’Al-Sadd dopo aver girato il mondo insieme. "Siamo stati un tutt’uno. Prima da giocatori, alla Samp, e poi tra Inter, City, Zenit, Galatasaray, Nazionale e in Arabia, ma ora mi piacerebbe allenare da solo. Siamo come due fidanzati che si lasciano dopo tanto tempo. Continueremo a volerci bene. Negli anni ho avuto molte richieste, compresa una di Mihajlovic a Bologna, ma sono rimasto insieme a Roberto".

La scintilla dove scattò?

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«In campo. Alla Samp, quando non gli arrivava la palla giusta, ti prendeva di mira, ma con me non attaccava. Anche da vice, a volte, mi dava la delega di andare a parlare coi presidenti. Sono bravo nei rapporti con gli altri».

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Il più tosto da gestire?

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«Direi Ibrahimovic. Se l’Inter ha vinto lo scudetto del 2008 lo deve anche a me. Prima di quei due gol a Parma ci siamo allenati insieme tutta la settimana».

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Come mai solo voi due?

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«Veniva da un infortunio. “Dì a Mancini che sto con te”, sentenziò. Solo io e lui per cinque giorni, fino a venerdì. “Ma pensa di non allenarsi mai con la squadra e di giocare?”, disse Roberto. Lo convinsi a fare la partitella, ma in pullman Ibra mi disse che sarebbe partito dalla panchina. Diluviava, la Roma andò in vantaggio, noi a fine primo tempo eravamo 0-0. “Non voglio entrare”, diceva. “Ti do un calcio se non lo fai…”, rispondevo. Così per tutto il riscaldamento. Il resto è storia: entrò dopo 10 minuti, segnò due gol e uno di questi li dedicò a me».

 

Un altro interista a cui è legato?

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«Veron, Zanetti, Figo, Adriano. Un campione di cristallo. Correvamo nei boschi o nel campo da golf. Ne aveva bisogno per sfogarsi. La morte del padre l’ha distrutto. “Sono stanco”, diceva. Sono stati magici. E sento nostro anche lo scudetto che chiamano “di cartone”».