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Stadio, Scaroni: “Non è per vendere club, ecco cosa faremo. Nome? Una cosa è certa”
Paolo Scaroni, presidente del Milan, ha rilasciato un'intervista ai microfoni del Corriere della Sera. Queste le sue parole sul futuro stadio dei rossoneri e dell'Inter dopo l'autorizzazione del Comune di Milano alla vendita di San Siro ai due club: «È finito il primo tempo: siamo in vantaggio, ma adesso inizia il secondo. Il nome? Meazza lo usavamo poco... Di certo continuerà a essere San Siro: lo stadio più bello d’Europa».
Una giornata storica.
«Da milanese d’adozione ho sempre creduto nella città del fare, non in quella che abbassa le braccia. È stata una trattativa complessa. Su rinnovamento e parziale demolizione sono emerse posizioni legittime ma ideologiche, che andavano superate. Il mondo cambia, se è successo nel tempio del calcio a Wembley, può accadere qui. Non è tempo di “palle al piede”...».
Intende il «Meazza»?
«Ne resteranno le vestigia, come richiesto dalla Soprintendenza: una memoria importante per ricordare i momenti felici. Ma l’obiettivo è sempre stato solo quello di dotare la città di uno stadio moderno ed efficiente».
E l’operazione «speculativa» additata da molti?
«Faremo un albergo, le sedi di Inter e Milan, i musei delle due squadre, del vecchio e del nuovo San Siro, con un centro commerciale da 15 mila mq: non certo il più grande d’Europa. Speculare è l’ultima intenzione dei club, altrimenti avremmo forzato sulla legge per gli stadi che ci permetteva di costruire ancora di più».
La «speculazione» starebbe nella rivendita della società. Con il nuovo stadio.
«Anche se non escludiamo altre scelte in futuro, oggi siamo lontanissimi. La nostra vocazione è sportiva. Non c’è alcuna vendita in programma a breve o medio termine. Il progetto sarà un patrimonio in grado di generare entrate maggiori, spazi più agevoli, praticabili e belli per invogliare i tifosi a venire ancor di più, così da comprare grandi giocatori e vincere le coppe come tutti i grandi club. Nessuno scappa con i soldi in tasca».
Lei ha vissuto l’«affaire San Siro» dal principio...
«Sono passati tanti anni e diverse gestioni, da Yonghong Li a Elliott. Io c’ero allora (nel 2017, ndr ) e ci sono adesso con Red Bird: una società specialista in sport e stadi, in grado di dare un nuovo impulso a tutta la zona con un impianto moderno ed efficiente in un quartiere che oggi risulta troppo pieno durante gli eventi o troppo vuoto nei giorni della settimana».
Che cosa si sente di dire al quartiere che aveva definito una «landa desolata»?
«Che diventerà più vivo, valorizzato, con uno stadio chiuso e in parte interrato, più silenzioso e meno impattante, firmato da grandi nomi come Norman Foster e Manica. E che cercheremo di minimizzare gli inevitabili disagi di cantiere: prima costruiremo il nuovo stadio, poi scatterà la demolizione. Soldi tutti privati ( equity e in parte debito) ma interesse pubblico».
C’è stato un momento in cui avete pensato davvero di rinunciare a San Siro?
«Sì, e abbiamo lavorato sull’alternativa San Donato. Un’area su cui restiamo propositivi: abbiamo speso 40 milioni, e manteniamo l’idea di portarci attività sportive».
Sullo stadio condiviso?
«Funzionerà perché ha sempre funzionato. Dividerci e restare al Meazza? Non è mai stata un’opzione in campo».
Al di là dei difetti, la «Scala» del calcio resta un’icona. Il timore è che il fascino possa perdersi in cantiere.
«San Siro è già lo stadio più bello al mondo per vedere le partite. Lo sappiamo, e per noi è un must assoluto fare in modo che si veda ancora meglio, con gli spettatori ancora più vicini e le tribune altrettanto verticali, se non di più».
Tra ciclone delle inchieste e caro prezzi, avete timori per il futuro del modello Milano in cui state investendo?
«Milano resta il posto migliore in Italia, anche se nella sensibilità degli investitori esteri i tempi sono fondamentali. Gerry Cardinale subisce il fascino di Milano, ne è entusiasta, vede tanti giovani e stranieri e crede nella sua capacità di continuo cambiamento. Io gliel’ho sempre detto: vedrai che ce la faremo».
Adesso rotta sul 2032, su quegli Europei che sembravano far arrivare Roma avanti rispetto a Milano.
«È una scadenza naturale, non nostra. Ma arrivarci senza stadio a Milano sarebbe stato grave per tutto il Paese».
In Consiglio hanno ricordato la manutenzione del Meazza non esaustiva per una ventina di milioni.
«Non c’è alcun problema, continueremo a fare manutenzione e siamo disposti a riconoscere quanto dovuto al Comune prima del rogito».
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