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Condò: “Fabregas? Inter scesa in campo tardi, ecco cosa ha pesato nel no ad Ausilio”
Della sfida di domani tra Inter e Como e del confronto tra Fabregas, inseguito in estate dai nerazzurri, e Chivu ha parlato il giornalista Paolo Condò sulle pagine del Corriere della Sera:
"Fabregas è un incantatore di serpenti per la capacità, unica, di predicare un calcio offensivo da allievo del Pep — tanta palla, tanto possesso — senza trascurare le formule che rassicurano la conservazione, dallo studio dell’avversario allo sviluppo del contropiede. A soli 38 anni è il tecnico perfetto, e del resto la volata di maggio issa il Como al 10° posto (era stato anche ultimo) con un ritorno che sovrasta l’andata: 31 punti contro 18, 9 vittorie contro 4, 28 gol segnati anziché 21, 20 reti subite al posto di 32. Sono giorni in cui il cellulare di Cesc esplode. L’Inter non è la prima a muoversi. Il Bayer Leverkusen che perde Xabi Alonso destinato al Real Madrid, e la Roma guidata da un Ranieri agli sgoccioli come tecnico di campo, hanno già tastato il terreno, ma senza arrivare a colloqui operativi. Il Como è un ancoraggio che tutti sottovalutano. L’Inter entra in campo tardi perché Inzaghi non ufficializza la sua decisione di andarsene in Arabia prima della finale di Monaco, e l’imminenza del Mondiale per club carica di frenesia il panorama delle ore successive".
"Il 4 Fabregas è atteso a Londra per un evento assieme a Mirwan Suwarso, il manager che presiede il Como per conto dei fratelli Hartono, ed è in quell’occasione che si ritaglia un’ora per incontrare Piero Ausilio, il diesse dell’Inter. È un colloquio esplorativo, non una trattativa. Un «cosa ne diresti se…» che funziona nei due sensi, ovvero l’Inter apprende che Cesc apprezzerebbe una rosa cambiata in profondità, mentre lui capisce che la disponibilità del club a farlo si scontra con diversi limiti. Non è il tipo di situazione che ti spinge a forzare la mano al Como, da parte sua molto vigile. E quindi non si arriva a un secondo colloquio".
Ci siamo persi qualcosa? La domanda non intende mancare di rispetto a Cristian Chivu, i cui primi sei mesi sulla panchina dell’Inter sono stati interessanti e discretamente convincenti. Dal recupero palla alto all’approccio gentile con giocatori e ambiente, da un turnover più vario nei ruoli all’allargamento della base (Esposito su tutti), l’Inter persegue il post-Inzaghi senza sconti né abiure. È la grande che fin qui ha vinto e perso di più, che ha segnato tanto e subito un po’ troppo, implacabile con le piccole ma vulnerabile negli scontri diretti. S’era detto a giugno, davanti alla scelta di Chivu, che l’unica perplessità veniva dalla distanza tattica fra i due tecnici contattati, ma era stata ingannevole l’esperienza al Parma, dove Cristian si doveva salvare in fretta, e quando il tempo è poco si privilegia sempre la difesa, più facile da insegnare. Il confronto con Fabregas di domani a San Siro avviene invece fra i primi due possessi palla del campionato (61.08 contro 60.46 a favore del Como), giusto per rimarcare una concordanza. Che poi Chivu difende a tre e Cesc a quattro, ma quel che conta è che si protegge anche lui, prova ne sia la miglior difesa della serie A. E dunque in attesa che anche Cristian si aggreghi — se vorrà farlo — a una scuola tattica in nome della quale battersi, l’unica cosa che ci siamo persi col mancato arrivo di Cesc all’Inter è l’effetto emulativo che portò Maifredi alla Juve e Orrico in nerazzurro dopo i trionfi di Sacchi al Milan, o la ricerca del «proprio» Guardiola che mezzo mondo portò avanti dopo le meraviglie di Pep a Barcellona. Le code della cometa. E magari la stella stessa, perché dopo tanto Como non ci sarà un’altra italiana, ma Barça o City. E questo ci impoverirà.
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