Simone è stato un attaccante molto bravo tecnicamente e tatticamente, sebbene meno dotato di quella inesorabilità e quella cattiveria in area che nella distribuzione dei talenti in casa Inzaghi erano toccate a Pippo. Simone, oggi, sarebbe un perfetto centravanti di manovra alla Zirkzee. E da allenatore è sempre molto attento alla qualità dei suoi giocatori: li capisce, ne intuisce l’evoluzione ideale, vede in anticipo ciò che loro stessi non riescono a immaginare. Inzaghi ha regalato a Calhanoglu e Dimarco anni da top player in ruoli diversi rispetto a quelli ricoperti in precedenza. Thuram segnava poco e si è scoperto cannoniere. Simone è un aziendalista, qualità difficile da trovare nei top allenatori, solitamente attenti alle proprie esigenze più che a quelle del club. Dopo il mercato estivo erano rimaste alcune lacune che lui stesso aveva segnalato, ma non c’è mai stata da parte sua alcuna dimostrazione di irrequietezza. Lui rema dalla stessa parte della società e quando qualcosa non va, risolve nello spogliatoio (dove ai tempi della Lazio qualche giocatore insofferente era stato appeso al muro) o in sede: non in pubblico.
Durante la sua avventura all’Inter, Inzaghi è migliorato sotto ogni aspetto. Il perfezionamento dimostra intelligenza e apertura mentale: il calcio cambia in continuazione e se si resta fermi si va indietro. Simone studia sempre, si aggiorna, riflette. Ha imparato a sfruttare le rotazioni, riesce a spremere un po’ meno gli intoccabili accettando di correre qualche rischio nel breve periodo ma tenendo sempre lo sguardo fisso sull’orizzonte. Il gioco dell’Inter è talmente sofisticato che non si possono pretendere gli stessi sincronismi quando un paio di riserve, seppur brave, giocano al posto dei titolari. Ma Inzaghi ha nell’armadio un abito per ogni circostanza e lo fa indossare alla squadra senza problemi. Non considerandosi un filosofo del pallone si mette costantemente in discussione. Sa di essere tra i più bravi, ma vuole continuare a esserlo nel tempo. E per riuscirci ha scelto la strada più giusta: alzare l’asticella delle ambizioni dei giocatori e del club. Dopo la magia del triplete l’Inter aveva dimenticato cosa volesse dire giocare la Champions. Quando – raramente - partecipava, scendeva in campo con la timidezza dell’intrusa. Adesso si presenta con la splendida sfrontatezza della principessa al ballo. Simone ha cancellato i confini, ha fatto sentire l’Inter a casa in ogni campo d’Europa com’era successo al City con Guardiola e al Liverpool con Klopp. E anche nella comunicazione è migliorato moltissimo , liberandosi di quella vena di vittimismo che a volte affiorava e imparando a lanciare il messaggio perfetto per la squadra, la società, gli avversari, i tifosi. Come quando ha parlato del triplete. Gestore di uomini come un navigato condottiero e innovatore come un moderno stratega: Inzaghi è un top coach. E per chi non ne è convinto, spiaze.
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