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fcinter1908 ultimora Acerbi: “A Monaco da favoriti ma cotti mentalmente. Neanche incazzato, ecco cosa è successo”

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Acerbi: “A Monaco da favoriti ma cotti mentalmente. Neanche incazzato, ecco cosa è successo”

Acerbi: “A Monaco da favoriti ma cotti mentalmente. Neanche incazzato, ecco cosa è successo” - immagine 1
Il difensore dell'Inter ha parlato in occasione della presentazione della sua autobiografia dal titolo "Guerriero"
Fabio Alampi Redattore 

Francesco Acerbi ha parlato in occasione della presentazione della sua autobiografia, "Guerriero": "Com'è il lunedì di un giocatore di 37 anni? Dipende che partita è, che persona sei, però stai abbastanza bene. Magari dormi poco perchè comunque hai giocato la sera e vai a dormire a un orario insolito, poi la mattina dopo vai agli allenamenti e sei un po' stanco. Dopo due giorni magari ti viene fuori qualche acciacco della partita. Però direi che stai bene, dipende dalle partite, da quante ne fai durante la settimana e da quanto giochi".

Il rapporto con Inzaghi

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"Inzaghi? È simpatico, è in gamba come allenatore, massimo rispetto e fiducia reciproca. Va bene avere un rapporto giusto, ma lui è l'allenatore e io sono un giocatore. Anche nei confronti dei miei compagni aveva un rapporto morboso che a me non piacerebbe. Mantenere le distanze, ma è giusto così, tu sei il mister e io il giocatore. Poi dopo ci prendiamo un caffè o facciamo il viaggio insieme due giorni con le famiglie, quello sì. Poi se c'è quel tipo di rapporto fai fatica a dire no. Il trasferimento alla Lazio? Ero a Reggio Emilia, in treno, e vedo un numero sul telefono. Era Inzaghi che mi chiese: "Vieni alla Lazio?". Mi ha chiamato direttamente lui. Fu un'estate abbastanza lunga, non era facile, chiamai il Sassuolo con cui avevo un grandissimo rapporto per convincerli a farmi andare. Sono rimasto lì un paio di anni in più, potevo andare anche in altre squadre. Dopo il discorso della malattia non potevo dire di no, poi era giunto il momento di dire basta. Mi dissero: "Tutti, ma non la Lazio". Allora tutti i giorni sentivo il mister, ogni 6 minuti"".

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Il disastro della finale di Champions League

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"Monaco? A parte che il PSG era molto forte. Noi forse eravamo cotti mentalmente. Con il senno del poi noi eravamo la favorita tra la gente, battendo Barcellona e Bayern che secondo me è anche più forte. Incosciamente avevi questa cosa addosso che dovevi vincere la Champions. Abbiamo fatto una strada importante in Chamions con grande fatica, gli infortuni, robe varie, in campionato eravamo ancora lì... Poi andare a Como e pensare che il Napoli potesse fare un passo falso. Alla fine se perdi il campionato e hai una finale di Champions sei un po' giù. Tutte queste robe, la tensione della finale, non hai vinto niente, devi vincere per forza la finale per non buttare la stagione. Troppa pressione addosso, e sei arrivato scarico, troppo scarico. Anche dopo la partita, non è che eri incazzato. Niente".

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La malattia

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"La malattia? Inizialmente va bene, poi dopo un mese inizia le chemio ed erano pesanti. Ero quasi non "entusiasta", ma del tipo "proviamo questa esperienza e vediamo come sono". Lo devo fare, la affronto, vediamo un po' se è come dicono, che stai male e perdi i capelli. Fortunatamente non è cambiato assolutamente niente, solo all'inizio ho pensato "cos'è questa roba qua?". Poi sono andato al San Raffaele e mi hanno detto "tranquillo, 3-4 settimane qui, il tempo che si cicatrizza la ferita e ritorni in campo". Ero tranquillo, forse anche un po' incosciente e superficiale, non capivi bene la gravità di quello che avevi. Da lì dopo un mese iniziai a giocare".

Il rapporto con il padre

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"Mio padre? Era molto presente. Quando sei giovane, 10-11 anni, la testa ti fa già pensare che potrai giocare a calcio. Ero un ragazzino, il troppo stroppia: un po' mi ha "diluito" la passione, ma allo stesso tempo è grazie a lui se non ho mai mollato e se sono diventato il giocatore che sono diventato oggi. A volte è stato un rapporto abbastanza conflittuale. Il calcio mi piaceva, ma non era sicuramente un obiettivo di vita: mi divertivo con gli amici, poi andai a Pavia, ma giocavo a calcio con il pensiero di altre cose".

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Ultima prova e approccio

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"Ieri ero abbastanza nervoso a dire la verità, anche per il gol subito, potevo fare meglio. Mi darei un 6, dai. Non è che perchè si vince allora fai una bella partita, così come quando si perde non è che va sempre male. Dipende da come ti senti te. ormai lo sai se hai fatto una buona partita o se puoi fare meglio. Approccio? Non mi sento particolarmente più forte. Magari, per come vivo il calcio io anche alla mia età, potrei essere più tranquillo e calmo. Do molto anche quando potrei non farlo, ma questo è il mio carattere. Sull'impegno non mi sono fermato neanche a questa età".

Impressioni su Chivu

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"Chivu è diverso da Inzaghi, ma è molto preparato, molto umano con noi, fa stare bene. Al primo anno in Serie A, ha fatto 13 panchine... Ci mette molta passione, si vede che ha giocato a calcio, sa come dovrebbe essere uno spogliatoio di vincenti, è già pronto per questo. Di calcio ne capisce, noi siao molto contenti di averlo".

La semifinale di Champions con il Milan

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"È una semifinale pericolosissima però noi quell'anno col Milan avevamo fatto molto bene. Ma in semifinale di Champions… Pesava, soprattutto al ritorno. All'andata vinci 2-0 ed è un attimo.. I primi 20 minuti, se fa gol Diaz, non so come va a finire… È un attimo, ma se le cose devono andar bene, vanno bene. L'ho vissuta abbastanza pesantemente".

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L'arrivo all'Inter

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"Quell'anno lì mi dicevano che con l'Inter non c'era possibilità. Poi, non si sa come... Ero molto vicino al Napoli, c'erano un po' di squadre, il Marsiglia. Ero anche contento e orgoglioso che alla mia età ci fossero delle squadre interessate. Poi alla fine l'Inter era in difficoltà, Inzaghi mi conosceva, ha spinto e allora hanno deciso di prendermi. Ero a casa di mia mamma, sono stato una settimana lì. Alla fine, a pranzo, ho detto: "Fammi chiamare Sarri". Sono andato via per lui, ma pensavo che il posto l'avrei ripreso. "Mister, non vengo più". Alle 3 del pomeriggio, il mercato chiudeva alle 8. Alla fine dovevo andare, dai".

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Il gol al Barcellona?

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“Ogni tanto vado in attacco a caso perché mi piace, senza chiedere. Forse è una delle prime volte che non ti arrabbi quando subisci il gol del 3-2 di Raphinha. Ho detto: “Che devo fa, bravi loro”. Non hai quell’incazzatura, ma dici “va bene”. Ero abbastanza tranquillo perché erano fenomeni, soprattutto dal centrocampo in su… Poi Yamal non pensavo fosse così forte. Ma anche Raphinha. Tutti! Ho detto: “Vado su, cosa faccio qua?! Perché devo aspettare di prendere il 4-2? Chissene frega. Non è che mi danno la medaglia se perdo 3-2: 4-2-5-2 6-2 è lo stesso. Non ho chiesto il permesso a nessuno. Mancavano 3 minuti, che stavo in difesa a fare… Anche Inzaghi mi diceva quando mancavano pochi minuti: “Vai su”. Sono andato su e sono andato subito in fuorigioco perché ho detto: “Tanto hanno la difesa alta, io non la prendo mai. Se la palla arriva in corner, io sono lì. Sono andato in 15 metri in fuorigioco. Poi è arrivato Dumfries, mi sono messo davanti al difensore, che pensava mai arrivasse quella palla. Poi ho calciato e ho detto: “Mal che vada sbaglio”".

Futuro

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“Ritiro? Non è ancora l’ora. Se mi dici: “Vai a fare l’allenatore tra due anni?”, io ti dico “No, gioco ancora a calcio”. Fin quando ho voglia e mi vorranno io continuo a giocare perché sto ancora bene e meglio di tanti più giovani, perché smettere se mi danno il lavoro? Non ho intenzione di mollare un centimetro”.