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Ventola, lettera all’Inter: “L’esordio che non dimenticherò mai. E quando Ronaldo sfidava…”

Marco Macca

Ho iniziato fortissimo, all’Inter. Ed era uno spasso allenarsi con Ronaldo. Andava troppo veloce, per tutti. E poi rideva, scherzava, non si prendeva sul serio. Spesso sfidava Colonnese e West: “Chiudete le gambe, vi faccio tunnel”. Li avvisava, poi faceva passare la palla tra le gambe.

Al termine di una seduta si era messo in testa che dovevo tirare io le punizioni. Gli dicevo: “Ronie, ci siete tu, Baggio, Djorkaeff e non ho mai tirato una punizione in vita mia”. Insisteva, voleva provare uno schema, anzi uno scherzo. Lui partiva, fintava di destro e me la toccava di tacco sinistro. Un gioco.

Avevo sempre 20 anni, ero a San Siro ed era la Champions League: Inter-Spartak Mosca. Punizione, Ronie si avvicina e mi dice: “Nick, lo facciamo?”. “Sei matto?”. “No no, lo facciamo, preparati”. Pensate a Filimonov, il portiere dello Spartak, che si prepara a parare la punizione di Ronaldo. Lui parte, finta, tocco, io faccio partire un destro che finisce dritto all’incrocio.

La filosofia mi è servita e mi serve anche oggi. Stavo per realizzare il desiderio più profondo, quello di vestire la maglia della Nazionale. Zoff mi aveva già convocato per Italia-Svizzera, a Udine, la partita del debutto di Totti. Resto in panchina, perché come ultimo cambio il C.T. fa entrare Bachini, che giocava davanti al suo pubblico. Poi viene da me e mi dice: “Nicola, a Salerno contro la Spagna giochi titolare”. Inter-Sampdoria, 15 novembre 1998. Cado come un prosciutto, non voglio ripensarci: infortunio al collaterale, stagione andata, Nazionale persa.

Vado in prestito al Bologna, ma è il periodo peggiore, con papà malato, la mia testa sempre rivolta a lui. Mi faccio male altre tre volte, due volte al menisco e una alla caviglia.

Due anni lontano da Milano, poi via, di nuovo a cento all’ora nell’avventura più incredibile, quella con Cuper, con Ronaldo-Vieri-Recoba-Kallon. Chiedeva sacrificio alle punte, l’allenatore: io e Mimmo eravamo perfetti, ci completavamo, ci sentivamo importanti in un gruppo che aspettava il ritorno dei titolari.

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