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ESCLUSIVA Colonnese: “Ho il nerazzurro nel cuore. L’Inter tenga Lautaro e prenda subito…”

Marco Macca

Partiamo un po' con i ricordi. Sei arrivato all'Inter a gennaio del 1997. Nell'estate successiva sono arrivati grandi nomi, a partire da Simoni. La tua carriera è legata indissolubilmente a quella di Gigi.

Adesso non sta benissimo, il suo carattere lo sta tenendo in vita. Ha fatto qualche piccolo passo in avanti. Sento spesso sua moglie, Monica, appena posso li vado a trovare. E' una persona che non meritava questa situazione. Strepitoso dal punto di vista umano. Un angelo blu, come lo definisco io. Sempre perfetto, non meritava di subire tutto questo.

Ci racconti l'atmosfera ad Appiano in quella fantastica stagione 1997-98?

Quello era uno spogliatoio fantastico. Siamo tutti fratelli, ci sentiamo ancora tutti. Ci volevamo bene e ci vogliamo bene ancora oggi a distanza di 22 anni. Quel gruppo sapeva sempre cosa fare. Simoni era il nostro generale e tutti lo seguivamo. Chi doveva stare in panchina non fiatava, perché tutti avevamo un obiettivo comune: far vincere l'Inter. C'era il giusto mix di italiani e stranieri. C'era Ronaldo, il più forte in assoluto. Quando sento dire Cristiano Ronaldo e Messi... Parliamo di giocatori forti, ma quello lì era un'altra cosa. Anche perché giocava in un calcio in cui c'erano marcature a uomo, dove si facevano falli a tutto spiano. Lui ne subiva tanti, ma andava più forte di tutti. Solo per questo dico che il mio Ronaldo era strepitoso. Un ragazzo fantastico, gioioso. Voleva sempre vincere, anche le partitine. Non si allenava tantissimo dal punto di vista fisico, ma non ne aveva bisogno, perché era un Fenomeno e poteva permetterselo. Quando di affrontava uno contro uno ti faceva fare brutte figure, sia in allenamento che in partita la domenica. L'emblema è stata la finale di Coppa UEFA contro la difesa della Lazio, forse la più forte in quel momento. L'ha letteralmente ridicolizzata, dimostrando di essere un campione assoluto. Nei giorni precedenti sentì dire ai difensori laziali che lo avrebbero fermato, e poi abbiamo visto come andò. Dimostrò di essere il numero uno, perché la partita la vinse lui. Ma anche gli altri...

Gli stranieri in rosa, per esempio, avevano le palle. Zamorano è un cuore d'oro, un attaccante strepitoso. Spesso non giocava, perché c'era anche Djorkaeff con Ronaldo. Ma poi ha giocato nella finale di Coppa UEFA e ha fatto gol. Sapeva essere un grande professionista. C'erano Zanetti, Cauet, uno che aveva polmoni incredibili in mezzo al campo, Winter, Ze Elias, Moriero, uno con una qualità sulla fascia come pochi, Pagliuca, il miglior portiere di quella stagione, Fresi, che fece una grande finale, Bergomi, che mi rubò il posto ai Mondiali nel 1998 (ride, ndr). Una squadra forte. Dovevamo vincere lo scudetto e ce lo rubarono. Non me ne voglia nessuno, la storia dice questo. Quella squadra poteva aprire un ciclo. Moratti amava quella squadra ed era ricambiato da noi. Potevamo aprire un ciclo simile a quello aperto dall'Inter di Mourinho che ha poi vinto il Triplete.

In campo eri uno che dava l'anima.

Con me giocavano troppi giocatori di talento, sapevo che dovevo mentalmente e fisicamente essere un animale da campo. Mi trasformavo, e chi mi conosce lo sa. Giocavo a calcio con l'obiettivo di diventare un giocatore importante, con fame e sacrificio. Studiando sempre l'avversario. Adesso si studiano meno gli avversari, il calcio è cambiato. Anche se poi, andando a guardare meglio, si vede che l'Inter è tornata a giocare con il 3-5-2, così come faceva la nostra squadra, quella di Simoni. Si sta riscoprendo la difesa a tre, anche perché è un modo di giocare ti dà l'aggressività, la mentalità vincente. E' un modulo che dà carica, forza e coraggio, facendoti marcare anche i campioni più forti. Quando giocavo io dovevo affrontare grandissimi attaccanti: da Batistuta a Savicevic, da Inzaghi a Enrico Chiesa, da Vieri a Ronaldo. Dovevi studiare per tenergli testa. Oggi si lavora meno sull'anticipo, sul tempo, diversamente da qualche anno fa. Questo nel 3-5-2 deve essere migliorato, dato che è un sistema di gioco di contatto con l'avversario.

Aperta? Sanguina ancora. Lo dico a tutti e non mi vergogno: da quel giorno sono antijuventino. Da bambino, essendo di Potenza, simpatizzavo per i bianconeri. Iniziando a giocare perdi quella simpatia e da quel giorno è diventata antipatia. Quando guardo Juventus-Inter mi sudano le mani, non sono logico e perdo le staffe e l'equilibrio. Quello spogliatoio è diventato un tutt'uno da quella partita lì, siamo tutti antijuventini. Quello scudetto dovevamo vincerlo noi, è da quella partita che nasce l'odio Juve-Inter. I bianconeri sono forti, nessuno ha problemi a dirlo, però quell'anno lì ci rubarono il titolo.

A distanza di tanti anni, il tuo interismo è ancora forte.

Nel nostro animo siamo felici di essere come siamo. Rimanere interisti dopo aver giocato con tante squadre e sentirsi ancora legati a questa squadra è molto bello. Ho giocato con grandi squadre, ma l'Inter mi è rimasta tatuata sulla pelle. Quella maglia, quello stadio immenso, quella gente che mi amava. La Curva mi ha sempre rispettato. Non si può ricambiare un affetto enorme così.

Nella vittoria di quella Coppa quanto influì l'ingiustizia subita qualche giorno prima contro la Juventus?

Secondo me è stato fondamentale. Eravamo incazzati, abbiamo fatto il ritiro a Parigi con l'animo della squadra avvelenata. Ci siamo preparati al punto giusto. Nella rifinitura eravamo carichi per voler dimostrare che volevamo portare a casa qualcosa. Affrontavamo una super squadra come la Lazio, che aveva giocatori come Mancini, Nedved, Casiraghi, Jugovic, Nesta, Almeyda e tanti altri. Ma noi abbiamo spinto a mille e abbiamo meritato di vincere in uno stadio stracolmo. Una grossa vittoria anche per i tanti tifosi nerazzurri che solo 15 giorni prima avevano provato una delusione spaziale. Meritavamo una vittoria così.

C'è una tua foto bellissima ai tempi dell'Inter in cui sorridi abbracciato proprio a Ronaldo. Puoi dire di non aver avuto rimpianti nella tua carriera?

L'unico che ho è quello scudetto, perché se avessi vinto quello scudetto sarei andato anche in Nazionale. Ma dal punto di vista professionale posso dire di aver dato il massimo, di più non potevo. Giocavo in un calcio di mostri sacri e mi sono ritagliato il mio spazio. Fa effetto pensare che, a distanza di anni, da Potenza non ci sia stato nessun altro in grado di arrivare ad alti livelli. Lo auguro ai cittadini della Basilicata. E' molto difficile.

Quanto è stato importante nella tua carriera Massimo Moratti?

Con lui avevo un rapporto eccezionale e ce l'ho ancora. Mi amava e mi voleva bene, sapeva che ero un ragazzo serio e lo dice ancora a distanza di anni. Ci sentiamo spesso, è rimasto un grande legame. E' una persona fantastica. Mi è rimasta nel cuore una sua dichiarazione, in cui disse che il suo acquisto più importante di quell'Inter non fu Ronaldo. Il motivo? Sapeva già che Ronaldo era così forte. Fece il mio nome, dato che arrivai all'Inter quasi per caso e che, a detta sua, mi rivelai un giocatore importante. Sentirsi dire queste parole dal tuo presidente dà gioia. La stima che ho per la persona è sempre enorme.

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