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Bedin: “Inter, il Psg ha la mentalità italiana, sarà gara molto difficile. Con Herrera…”

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Gianfranco Bedin, una delle colonne della “Grande Inter” di Herrera, intervistato da Il Gazzettino parla della finale di Champions
Gianni Pampinella Redattore 

Gianfranco Bedin, una delle colonne della “Grande Inter” di Helenio Herrera, intervistato da Il Gazzettino parla della finale di Champions League contro il Paris Saint-Germain, in programma sabato a Monaco. Inoltre l'ex giocatore ricorda il suo periodo in nerazzurro. "Il Paris ha la mentalità italiana, sa come affrontarci, sarà una partita molto difficile, ma l'Inter ha battuto Monaco e Barcellona e sa come fare. Una partita che va giocata con la testa e con tanto cuore, è la competizione stessa che ti porta a dare tutto: aspetti già di arrivare in finale perché sei l'Inter e quello è il tuo percorso. Sono fiducioso, me la preparo mentalmente, tanti anni col Mago a qualcosa sono serviti. E se sfoglio il quadernetto lasciatomi da Herrera ci trovo anche il risultato!".

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Così è iniziata la sua avventura nell'Inter?

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«Non avevo ancora 14 anni, mi sono trasferito a Milano all'inizio del 1960 e giocavo con Mazzolino, col fratello Ferruccio, con Bobo Gori. Venivamo quasi tutti da tante ore di oratorio, la stessa tecnica, la stessa voglia, le stesse privazioni. Poi ho vissuto la squadra Primavera, ti portavano con le riserve ad Appiano Gentile dove potevi avvicinare Mario Corso, Luis Suarez, vedere Helenio Herrera. Un giorno il Mago s'inventò di farmi giocare a Bucarest in Coppa dei Campioni, aveva vinto a San Siro 6 a 0 e voleva risparmiare gran parte della prima squadra. Abbiamo vinto per 1-0 anche in Romania».


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Parliamo della finale di Coppa dei Campioni?

«L'emozione è stata enorme, San Siro è diverso da qualsiasi altro stadio, col Benfica c'erano 100 mila spettatori. Mi tocca Eusebio tecnicamente un portento, bravo con entrambi i piedi, allora era con Pelè il più forte al mondo, e ho marcato anche lui. Pioveva da giorni su Milano, un diluvio, il campo era al limite, abbiamo fatto gol con Jair nella palude, un tiro sfuggito anche al portiere. Eravamo una squadra forte e fatta di amici, vivevamo tutta la settimana assieme. Eravamo legati anche fuori, con le famiglie, giocavamo a carte, a biliardo, cantavamo. A un certo punto l'abbiamo pagato, siamo arrivati un po' stanchi alla Coppa dei Campioni del 1967 col Celtic, vincevamo 1-0, Mazzola su rigore, nel secondo tempo non c'eravamo più e abbiamo preso due gol».

Era davvero finita un'epoca?

«Anche in campionato, pochi giorni dopo, siamo spariti proprio all'ultima partita. Avevamo un punto di vantaggio sulla Juve, la vittoria valeva due punti. Dovevamo giocare a Mantova, sulla carta facile, poi c'è stato l'infortunio di Sarti, una parata sbagliata, ed è bastato perché perdessimo tutto. Abbiamo capito in quel momento che era davvero finita un'era. Però, con parte di quella squadra nel 1971 abbiamo vinto uno scudetto, allenati da Invernizzi; ma nella Coppa Campioni abbiamo sbattuto contro una squadra decisamente superiore, l'Ajax di Cruijff. Sono rimasto all'Inter sino al 1974, quando ho capito che le mie stagioni in nerazzurro erano finite mi sono messo d'accordo con la Sampdoria dove sono rimasto quattro anni. Sono rimasto all'Inter sino all'anno scorso facendo lo scout per Mancini, Mourinho e Gasperini. Splendido è stato poter proseguire il calcio dove ero cresciuto e spero di aver dato qualcosa di mio».

Come era Helenio Herrera?

«Era unico, in panchina vedeva meno, ma la preparazione della partita era totale, conosceva perfettamente ogni avversario e ti diceva come fermarlo. Una volta a Catania mi dice di fare attenzione a un giocatore e quello mi scappa e mi fa tunnel, una volta, due volte. Mi ha lasciato fuori due partite. Ti insegnava che la partita dovevi vincerla coll'anticipo: "Se anticipi Rivera, quando tu hai preso la palla lui non ti segue; ma se parte lui, tu non lo prendi più". Scriveva tutto su un librettino, ho uno di quei libretti me lo ha regalato la Gandolfi: ci sono i suoi appunti, i disegni, spesso anche il risultato. Era davvero un Mago!».

(Il Gazzettino)