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Ecco, e l’Italia?
«Ci stiamo provando, e infatti ora sono qui. Però è dura. Abbiamo due problemi: una burocrazia bestiale che rallenta tutto a livelli impossibili e vincoli architettonici non sempre comprensibili e condivisibili. Fortunatamente il ministro Andrea Abodi ha capito il problema e ha voglia di risolverlo».
Altri crucci?
«Il tifo. L’Italia è l’unico paese tra le grandi nazioni calcistiche europee ad avere gabbie, reti, vetri, protezioni. Una cosa dell’altro mondo. Tutti lì a riempirsi la bocca con l’atmosfera degli stadi inglesi, ma lì le reti le hanno tolte da decenni. Allo stadio devono andare i tifosi che tifano, non quelli che spaccano.
Lei sa bene che Florentino Perez e Joan Laporta per anni hanno vissuto sotto scorta perché avevano buttato fuori gli Ultras dal Bernabeu e dal Camp Nou. Ora sono tutti contenti. In Italia va cambiata la cultura, e qualcuno deve cominciare».
Che idea si è fatto del caso San Siro?
«Premesso che non conosco i dettagli, io capisco la posizione di Milan ed Inter e molto meno quella del Comune di Milano. Se i due club dovessero andar via cosa farà con quell’impianto il Comune? Una decina di concerti, e poi? Se volesse buttarlo giù dovrebbe spendere una cinquantina di milioni di euro solo per smaltirlo. Dovrebbero trovare un accordo con le due squadre. Oggi pagano circa 3 milioni di euro all’anno, dovrebbero darglielo gratis, e per 50, 60, 70 anni, costringendo però le due società ad investire 50 milioni a testa per rifarlo completamente e a lasciarglielo 10-15 giorni all’anno per i concerti. Non si può chiedere a un club di investire 30-40 milioni per uno stadio lasciandoglielo per poche stagioni e in più con l’affitto da pagare. Va cambiato completamente il rapporto di concessione: in Spagna i comuni che hanno stadi affittati ai club sono felicissimi quando questi fanno i lavori. Ma le condizioni sono diverse per tempi e denaro. E un’altra cosa».
Prego.
«Lo stadio ormai è parte della città, socialmente, culturalmente e turisticamente. Non è più un posto dove vai solo a vedere la partita la domenica. È aperto sette giorni su sette, c’è chi ci fa una clinica, chi un centro commerciale, chi un cinema. Oltre a bar e ristoranti. E i bus turistici di Madrid, Barcellona, Valencia, Siviglia passano tutti per lo stadio. Deve essere un punto centrale nella vita cittadina, un monumento, un punto di aggregazione».
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