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Intervistato da La Gazzetta dello Sport, l'ex tecnico del Milan, Sergio Conceicao, ha parlato della sua esperienza in rossonero e della voglia di tornare in A
Sergio, l’anno scorso… «veni, vidi, vici».
«In effetti sì. Ricordo giorni di lavoro intensi a livello di analisi video, di motivazioni e di discorsi per entrare subito nella testa dei calciatori. Battemmo la Juve di mio figlio Cisco e poi l’Inter in rimonta. E piansi».
E dopo la vittoria, un bel sigaro.
«Una promessa. I giocatori, che avevano visto dei video, mi chiesero di fumarlo in caso di vittoria. Col Porto l’avevo fatto undici volte, ovvero dopo aver vinto trofei. L’allenatore che ne ha vinti di più. E quindi l’ho rifatto».
Un bilancio dei suoi sei mesi al Milan?
«Positivi. Dal 2017 a oggi solo due allenatori hanno vinto trofei in rossonero: Pioli, con lo scudetto, e io. Se sommiamo i punti del nostro periodo abbiamo avuto un ritmo da Europa League, quinto posto. I risultati ci sono stati: penso ai due derby vinti e al successo con la Roma. Dispiace per la finale di Coppa Italia, ma alcune cose non mi sono piaciute».
Del tipo?
«C’era instabilità a livello societario, attorno alla squadra l’ambiente non era buono. Per questo mi tengo stretto ciò che abbiamo fatto. Inoltre, la dirigenza non mi ha supportato. Le faccio un esempio: dopo aver vinto la Supercoppa giocammo col Cagliari. In quel periodo giravano già le voci che il club stesse seguendo altri allenatori. Io pensavo a lavorare e a vincere, col peso dei risultati. Non ho avuto tempo di lavorare a tutti i livelli».
Sarebbe rimasto?
«Sì, ma con alcuni cambiamenti».
I giocatori l’hanno tradita?
«Mai, anzi, erano con me. L’ha detto anche Theo nell’intervista che avete fatto: dopo il Feyenoord, quando la gente diceva che l’avesse fatto apposta a farsi espellere, io l’ho difeso. In molti mi hanno scritto quando sono andato via. Io pretendo rigore, esigenza e poi relax quando c’è da rilassarsi. Se uno si presenta con un chilo in più, arriva in ritardo o cose simili io non posso tollerarlo. Per me, alla fine, i giocatori sono tutti uguali».
Capitolo Arabia Saudita. Inzaghi l’ha salutato, stavolta?
«Sì, ci siamo sfidati a ottobre e ha vinto lui. Ero appena arrivato. Dopo Porto-Inter, dove i suoi ebbero un bel po’ di fortuna, non lo salutai perché in fondo sono così, durante le partite vado in trance, ma è un grande allenatore. Abbiamo vinto lo scudetto insieme alla Lazio nel 2000. Il rapporto è buono».
La soddisfazione più bella in Italia?
«Da calciatore, lo scudetto del 2000 con la Lazio, il più incredibile di sempre. Io, Sinisa e Stankovic ascoltavamo la radio nello spogliatoio. Era un gruppo di personalità, pieno di piccole risse ogni giorno, ma Eriksson sapeva gestirci. Ricordo anche la Supercoppa Europea del 1999, con lo United: Ferguson disse che il suo più grande rimpianto fu quella sconfitta».
E la delusione più grande?
«Lo scudetto perso il 5 maggio con l’Inter. Consolai Ronaldo in lacrime in panchina, ero accanto a lui. Nessuno ci poteva credere. A Milano ho avuto difficoltà: Cuper non mi dava fiducia, ma era un gruppo di campioni».
E in Italia tornerebbe?
«Certo, so già che lo farò».
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