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Zanetti: “Innamorato dell’Inter fin dall’inizio. Ronaldo il migliore. Ricorderò sempre…”
Javier Zanetti, ex capitano e bandiera dell'Inter e oggi vice presidente nerazzurro, si è raccontato nel corso di una lunga intervista rilasciata ai canali ufficiali del club: "Ricordo ancora il mio arrivo a Milano: presentazione in Terrazza Martini, insieme a Rambert. C'erano Facchetti, Suarez, Angelino, Bergomi, il presidente Moratti… Diluvio universale quella mattina a San Siro. Mi viene in mente quella prima sensazione di scoprire il mondo Inter. Cosa sapevo dell'Inter? Mia mamma mi aveva raccontato le grandi finali, quella con l'Independiente, di cui io sono tifoso in Argentina. Poi, guardando le partite del calcio italiano quando Maradona era al Napoli, vedevo anche l'Inter con Ramon Diaz, Passerella... Argentini che hanno fatto la storia in questo club. Rambert? Ci siamo sentiti, siamo arrivati da ragazzini in una città imponente come Milano. Noi arrivavamo da una storia completamente diversa, io giocavo in una squadra molto piccola, avere questa opportunità di giocare in un club come l'Inter voleva dire tanto. Quando sono arrivato c'era una grande emozione, mio padre e mia madre per la prima volta prendevano un aereo con me e venivano a scoprire un Paese nuovo. C'era una grande emozione".
Quando hai capito che l'Inter sarebbe diventata casa tua?
"Io mi sono innamorato dell'Inter fin dall'inizio, dell'atmosfera che si respirava, del senso di famiglia. Era quello che cercavo in quel momento: ero giovane, straniero, volevo che i miei compagni, i tifosi e il presidente Moratti fossero fieri. Fin da subito ho sentito questo legame forte e dopo 30 anni siamo ancora qua".
Come hai fatto a prendere così pochi cartellini?
"Diciamo che ero molto corretto nei confronti degli avversari, trattavo con rispetto la terna arbitrale e i compagni. Questo mi ha aiutato molto a prendere pochi cartellini".
La sconfitta che ti è servita di più?
"Penso che le sconfitte servono sempre, sono quelle che ti fanno capire, migliorare, diventare più forte. La prima sconfitta è stata la finale persa con lo Schalke: io ero molto arrabbiato per il cambio, poi capii perché il mister lo fece. Ero molto giovane, le pusazioni erano talmente tante che non mi avevano fatto pensare. E poi il campionato perso nel 2002. Sono sconfitte fanno capire tanto, ti danno rabbia, tristezza e amarezza, ti metti nei panni dei tifosi".
C'è una volta in cui ti sei veramente arrabbiato?
"No, poche volte, cercavo solo le energie positive per vincere le partite e aiutare i compagni, non lasciavo tempo alla rabbia. Penso sempre che c'è una nuova opportunità, e allora mi concentravo su quello".
Tolta la Champions, il trofeo con più significato?
"La finale di Coppa Uefa a Parigi: c'era mio papà, c'era Paula, e dopo aver perso la finale l'anno precedente c'era questa voglia di rivincita e riscatto. Avere la fortuna di segnare un bellissimo gol in quella finale, credo che sia uno dei momenti più belli che ho vissuto qui all'Inter, era il mio primo trofeo internazionale con questo club".
Ronaldo è stato il compagno più forte?
"La parola Fenomeno lo definisce. Le cose che faceva in allenamento, ti sorprendeva ogni giorno. Era simpatico, sempre molto positivo, e ti rendevi conto che averlo con te era un vantaggio. Le stagioni fatte insieme abbiamo visto il miglior Ronaldo, era nella piena maturità. Penso sia stato stato il colpo più importante dell'era Moratti".
Hai tirato un calcio di rigore e l'hai segnato: 100% di realizzazione...
"Dico sempre che quando sono andato a calciare quel rigore, vedevo la tribuna e le mani nei capelli di mia moglie! Si è presentata questa opportunità, il mister ha avuto fiducia in me e per fortuna la Roma aveva sbagliato prima, così ero un po' più tranquillo. Per me ha significato molto: vincere un altro trofeo, prima e unica volta che calciavo un rigore".
Ci sono segreti per una carriera così?
"Il segreto è l'allenamento, come lo fai e come lo interpreti. E il rispetto che hai per la professione. L'allenamento per me era fondamentale, sapevo che tutto quello che facevo durante la settimana me lo sarei portato alla partita. Arrivare sempre pronto per me era una sensazione di sicurezza. Ho vissuto sempre così e lo faccio ancora, mi fa sentire bene".
La fascia dell'Inter...
"Una grande responsabilità, in primis. Sono stato onorato di avere questa possibilità. Se guardo indietro chi ha indossato la fascia di capitano, tutti hanno lasciato una grande impronta. L'Inter è la mia famiglia e il club che amo, per questo davo sempre tutto, per me e per i miei compagni".
Un gesto che spiega bene la tua storia all'Inter?
"Il pianto di Madrid sicuramente: voleva dire completare un percorso felicissimo con questa maglia. Quella sera facevo 700 partite con l'Inter, poter sollevare quel trofeo dopo 45 anni senza finali è stato una grande emozione, lo sentivo tanto dentro. Gli abbracci con il presidente Moratti, che mi rimarrano sempre nel cuore. Al fischio finale l'abbraccio con Mourinho: sapevo sarebbe andato via, ci siamo detti poco, quell'abbraccio voleva dire tanto".
Cosa è per te l'Inter guardando avanti?
"Guardando avanti, una promessa da mantenere. Essere ancora qua e avere questo legame forte con tutti quelli che amano questo club, voglio contribuire e trasmettere i valori di questo club, e cerco di farlo ogni giorno".
L'ultima partita con la Lazio?
"Una notte che me la porterò dentro sempre, ogni momento, ogni istante. I compagni, quando siamo partita da Appiano, nel pullman mi avevano fatto la sorpresa con uno striscione con scritto "Grazie Javier". Poi lo stadio, pieno per me, i bambini con la numero 4 dell'Inter.: è stato un momento molto emotivo. Più passavano i minuti, più mi rendevo conto che stava arrivando la fine. Anche lì ho dato tutto quello che avevo. Mi dicevo: "Mi mancherà?". Mi resteranno i ricordi, la mia famiglia, tutti i miei compagni: rimarrà tutto questo, un grande amore nei miei confronti".
L'allenatore che ti ha lasciato di più?
"Allenatori ne ho avuti tanti… Ricordo Ottavio Bianchi, appena arrivato, mi chiamò in camera sua, con un toscano e un mazzo di carte: mi chiese dove avrei preferito giocare, risposi a destra, e contro il Vicenza giocai a destra con Roberto Carlos a sinistra. Mi aveva sorpreso questo approccio in quella chiacchierata. Poi Gigi Simoni, resterà per sempre un padre per noi. Mourinho per la metodologia di lavoro, che non conoscevamo. All'inizio non eravamo certi che fosse la maniera giusta per lavorare, era tutto nuovo. però credo che poi i risultati si siano visti...".
I compagni più simpatici?
"Il mio compagno di camera era sempre Cordoba, un fratello per me. Prima c'era Djorkaeff, per qualche partita ho avuto Zamorano. Ma se devo scegliere il più simpatico però Maicon: faceva cose... Negli allenamenti, nelle partite, faceva gesti coi tifosi che rimanevo sorpreso, per questa simpatia durante partite importanti".
L'episodio che racchiude lo spirito di gruppo dell'Inter?
"La partita col Barcellona, la semifinale di rirorno: quello spirito di squadra con un uomo in meno, quella voglia di arrivare in finale, la generosità di tutti per arrivare all'obiettivo. Quella notte mi è rimasta per lo spirito di squadra".
L'azione che descrive il giocatore Zanetti?
"La vedo sempre sui social: la cavalcata nel derby nei minuti finali, che prendo palla nella nostra area e la porto fino all'altra porta, sotto la curva. Quella riassume il mio modo di interpretare il calcio: quelle corse, quelle cavalcate che mi piacciono molto".
Il giorno preferito di questi 30 anni?
"Ricorderò per sempre la prima partita, Inter-Vicenza del 27 agosto 1995: era compiere il sogno di fare l'esordio a San Siro, davanti a 80.000 persone. Partita vinta con gol di Roberto Carlos, grande amico, anche lui appena arrivato. Il boato di quella partita me lo porterò sempre dietro, non avrei mai immaginato che sarebbe stata la prima di 858 partite con l'Inter".
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