«Non voglio essere un dirigente legato solo alla parte sportiva. Voglio che l'Inter mi possa utilizzare anche come altro tipo di risorsa. Credo che per far funzionare la squadra che scende in campo deve esserci una squadra altrettanto forte fuori dal campo per sostenere la squadra». Javier Zanetti è intervenuto a Il Festival sull'economia dello sport a Belluno nell'evento a lui dedicato 'Capitano e leggenda, storia di una vita in nerazzurro'.
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Zanetti: “Inter è club resiliente, dalle sconfitte ci si rialza. Triplete 2010? Dato tutto”

-Nella tua carriera come è stata possibile l'impresa del Triplete, cosa avevate in più?
Eravamo una grande famiglia, eravamo grandi uomini prima che grandi calciatori che con un grande condottiero come José che ci ha convinto che era possibile. E ad ogni difficoltà avuta e che superavamo sapevamo di poter arrivare fino in fondo. Un allenatore con grande personalità, un gruppo che voleva rimanere nella storia del club e lo ha fatto dando tutto quello che aveva. La dimostrazione è stata la semifinale col Barcellona, in quella gara lì, in 10 con quel Barcellona lì ha detto cosa eravamo.
-Determinazione e mentalità...
Mentalità grande e grande cultura del lavoro. Eravamo una cosa sola e questo ci ha permesso di vincere tutto.
-Sognavi la Serie A da piccolo?
Fin da bambino giocavo con i miei amici in Argentina e mi facevo la cronaca delle partite e sognavo di giocare ma non avrei mai sognato che una società come l'Inter mi comprasse così giovane. Non pensavo arrivasse così in fretta. Quando sono arrivato a Milano avevo paura, non sapevo se ero pronto a confrontarmi con grandi campioni come quelli di allora in Serie A. La gara col Vicenza è stata la prima di 858 e giocare indossando con una sola maglia è stato importante. Mi sono innamorato dell'Inter, una famiglia, resiliente, che guarda al di là del campo, è un traguardo, una responsabilità sociale, i valori che condivido e per questo sono rimasto. Abbiamo avuto difficoltà con unica vittoria la Coppa UEFA, non ho mai pensato al lato economico, non era importante, contava come mi sentivo in questo club. Al di là delle difficoltà volevo vincere con l'Inter e fare la storia con l'Inter, al di là delle offerte ricevute.
-Tanti campioni incontrati...
Mi ha accolto Bergomi, mi ha aiutato tanto. Mi ha accolto Facchetti con Rambert in una giornata con il diluvio universale. C'erano Angelillo, Suarez, Corso, persone che avevano fatto Grande l'Inter. Mi piaceva ascoltarli e mi hanno trasmesso tanto. Per me una grande possibilità.
-Lo spogliatoio del Triplete?
Divertente, c'era Maicon. Facevamo le grigliate e rimanevamo le ore dopo l'allenamento a fare gruppo. Al di fuori si deve creare questo ambiente e stavamo tutti bene insieme. Chiave del successo? C'è stata grande alchimia tra noi, società, tifosi e squadra. Alla finale di Madrid scendiamo nel riscaldamento e c'era pieno di tifosi dell'Inter e pensavamo che non potevamo non vincere con tutta la gente che c'era a Madrid e che c'era a Milano ad aspettarci. 45 anni che non vinceva la Champions. Ero alla 700esima con la maglia dell'Inter. Quando ho alzato la Coppa non ero io, era talmente tanta la felicità ed emozionato che mi sono passati in mente tutti gli anni all'Inter. Le interviste che mostravano la gente: incredibile, per questo dico che il tifoso dell'Inter è unico. La più difficile è stata quella col Barcellona. Lo racconto a mio figlio Tomas e io ho ancora paura che ci facciano il gol del due a zero. Soffertissima, interminabile. C'era Eto'o che difendeva davanti a me e siamo andati a marcare Messi, gli ho detto manca poco. Ma mancava ancora tutto il secondo tempo. In quella partita lì era talmente tanta la voglia di andare in finale che lo spirito di gruppo ce l'ha portato
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