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Zanetti: “Inter è club resiliente, dalle sconfitte ci si rialza. Triplete 2010? Dato tutto”

Eva A. Provenzano Caporedattore 

-C'è stato un momento nella tua carriera in cui ti sei scoraggiato? 

No, perché sinceramente sono positivo e nelle difficoltà mi rialzo e ritento, ma le sconfitte del passato sono state dure da digerire, dalle sconfitte bisogna rialzarsi. Ho sempre trovato per combattere e ripartire. Dicevo sempre che per vincere bisogna anche saper perdere. Abbiamo anche accettato le sconfitte. Moratti ha speso tantissimo per i grandi campioni e non arrivavano vittorie, ma ero convinto che il momento doveva arrivare. Per fortuna poi il tempo mi ha dato ragione.  

-Idoli di infanzia e chi è stato l'attaccante più difficile da marcare? 

Attaccanti tanti, ne ho affrontato di fortissimi. Scelgo Giggs, giocatore straordinario, tutte le volte che ci siamo affrontati facevamo i km. Anche il primo Kakà del Milan era difficile da marcare. 

-Idoli di infanzia? 

Lothar Matthaus sicuramente. Nella vita mio idolo mio padre, mi ha insegnato i valori che mi hanno accompagnato nel calcio e nella vita. Ho capito cosa significa il sacrificio vero, che niente è scontato, nulla è dovuto, che senza sacrificio non si ottiene nulla. 

-Mai pensato di voler fare l'allenatore? 

Penso che bisogna sentirlo dentro. Mi venivo più come dirigente, mi ci sentivo più portato. Studiando sto imparando tantissimo e mi rendo conto di tutte le difficoltà che ci sono, le dinamiche che cambiano ogni giorno. Decisioni da prendere in fretta per le quali devi essere preparato. Penso che le difficoltà aiutino a crescere. Aiutano a diventare più forti. Magari oggi si pensa che tutto sia semplice, le nuove generazioni vogliono tutto in fretta, vogliono la scorciatoia. Può aiutarti in alcuni momenti ma non basta.

-Vincere tutto e vincere sempre è diventata un'esigenza degli spettatori: c'era più pazienza prima? 

È difficile nel calcio avere tempo e per questo gli allenatori si trovano in difficoltà. Non hanno tempo per trasmettere le loro idee. C'è un periodo di adattamento sempre, che non è semplice e facile. Se hai una società dietro che ti supporta, se si sceglie un allenatore non si deve cambiare alla prima difficoltà. La società ha il dovere di sostenerlo. La società forte dietro è fondamentale. 

-Quante volte torni in Argentina e pensi di tornare in Argentina qualche volta? 

Amo l'Argentina e amo l'Italia. Per me rappresenta qualcosa di importantissimo nella vita. I miei figli sono italiani, nati a Milano. Credo che difficilmente torneremo in Argentina a vivere. Torniamo a Natale e a fine stagione, ma il nostro posto nel mondo è ormai il Lago di Como. Per noi l'Italia è una grande famiglia. Quando siamo andati a San Siro a vedere una partita della Nazionale, quella contro la Svezia che ci ha levato il Mondiale, i miei tre figli piangevano dopo la sconfitta che ci ha eliminato dalla finale. Per dirvi quanto ci teniamo a questo Paese. C'è stata un'amichevole Argentina-Italia e mio figlio più piccolo aveva entrambi le maglie, poi ha vinto l'Argentina e si è tolto la maglia dell'Italia. Mio bisnonno era friulano, provincia di Pordenone e ho la cittadinanza italiana.