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Leo Picchi: “Seconda stella è anche di papà. E ringrazio Zhang per averlo ricordato”

Eva A. Provenzano Caporedattore 
Le parole del figlio del capitano della Grande Inter, Armando Picchi, che ha raccontato anche della vittoria dei primi 10 scudetti, nel 1966

Leo Picchi è il figlio dell'ex nerazzurro, il capitano della Grande Inter di Herrera, Armando. Lavora all'Inter come manager dei progetti editoriali e dopo la vittoria della seconda stella ha rilasciato un'intervista al quotidiano Il Giorno. Il suo papà ha vinto, oltre a due Champions e una Coppa Intercontinentale, anche tre scudetti: 62-63, 64-65 e 65-66 e quindi , oltre che sulla prima stella, anche sulla seconda stella nerazzurra c'è il suo piede.

«È molto sua e sono grato a Zhang di averlo precisato nel suo discorso post vittoria. A volte di fa un po' di confusione su chi sia stato il capitano della Grande Inter e il presidente gli ha dato il ruolo centrale che merita, che si è conquistato con fatica e che i suoi compagni con affetto e ammirazione gli hanno sempre riconosciuto. Come vivo la conquista della seconda stella? Con l'orgoglio grandissimo di essere figlio di padre simile e con la gioia di ogni interista. E poi anche con il senso di appartenenza e gratitudine di ogni dipendente del club», ha spiegato.

«Similitudini con il calcio di papà? Forse nell'atteggiamento in campo di quell'Inter e di questa, entrambi hanno dominato con il gioco e sono state sempre in controllo. E riscontro tra i giocatori nerazzurri qualcosa che va un po' in controtendenza rispetto al nostro tempo e ai calciatori di oggi. Sono come quelli di allora ognuno al servizio dell'altro e hanno grande senso di responsabilità e appartenenza», ha aggiunto Leo.

Il figlio dell'ex capitano ha anche raccontato: «La prima stella fu una grandissima gioia ma fu l'ultima gioia del ciclo della grande Inter e si chiuse l'anno dopo con due sconfitti brucianti in Serie A e Coppa Campioni. Poi arrivò la mancata convocazione al Mondiale e l'addio alla maglia nerazzurra. Era nel pieno della sua maturazione atletica, tattica e mentale e il ct Fabbri gli inflisse un dolore, non se ne è mai fatto una ragione. Poi Herrera lo inseriva ogni estate nella lista dei giocatori da cedere e i contrasti tra due personalità forti e contrapposte lasciava intuire che prima o dopo sarebbe accaduto. Per lui fu comunque un grande dolore lasciare l’Inter».


«Per lui il calcio era una grande passione - ha aggiunto - ma la viveva con la serietà e l'impegno tipici di un professionista. Inter e Milan erano club molto forti all'epoca e si voleva vincere ma sempre col rispetto. Per esempio il Trap e Lodetti hanno sempre avuto belle parole per papà e penso che non avessero voglia di perdere tempo a sfottersi reciprocamente. Oggi festeggerebbe con gioia e soddisfazione, come allora. Magari davanti al suo mare, in mezzo alla sua famiglia e ai suoi amici. E poi in silenzio e in solitudine o con il suo amico Paolo Saltini sarebbe salito a piedi a Montenero al Santuario della Madonna delle Grazie alla quale era devotissimo. Ma forse questo lo avrebbe fatto per un ringraziamento della benevolenza del Cielo. E per tutto l’amore e la felicità che nostro Signore aveva messo nella sua vita, non solo per uno scudetto e una stella».

(Fonte: Il Giorno)


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