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“A testa alta” non riempie bacheche ma l’Inter lancia da Anfield un messaggio chiarissimo

“A testa alta” non riempie bacheche ma l’Inter lancia da Anfield un messaggio chiarissimo - immagine 1

Prudenza o consapevolezza? Ecco cosa si porta a casa l'Inter da Anfiled

Sabine Bertagna

L'uscita a testa alta dalla Champions League è un trofeo assolutamente detestato da parte della tifoseria di qualsiasi squadra. Il contentino, la magra consolazione, un risarcimento per un risultato che in qualche modo non si è stati in grado di portare a casa. Ma la vittoria dell'Inter ieri ad Anfield ci lascia qualcosa di più di un titolo di giornale che ci rende onore. Ci regala uno step di crescita che finalmente si smarca dal provincialismo. In Europa essere provinciali è una colpa enorme, che condanna tutti coloro che lo sono. Tra i classici segnali di provincialismo c'è l'accontentarsi di un "a testa alta" ma non solo. Non riconoscere i propri limiti e agire di conseguenza è fortemente indicativo del non saper vivere nel calcio in Europa. Sopravvivere, riuscendo a portare a casa anche un'impresa, non è esattamente la stessa cosa.

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Ieri, poco dopo il gol di Lautaro Martinez, è arrivata inaspettata e letale l'espulsione di Alexis Sanchez. Giocare in dieci ad Anfield, beh quella è tutta un'altra storia. Ma neanche in dieci, con un'Inter stravolta dai cambi, la squadra ha mollato o sfigurato. Lo abbiamo visto nei tentativi di tessere trame che nel primo tempo avevano uno svolgimento puntuale e preciso. Nonostante tutto i nerazzurri hanno difeso la loro porta con ogni mezzo possibile e portato a casa marcature impensabili (D'Ambrosio su Mané, bravissimo). La solidità ma soprattutto la sicurezza di Alessandro Bastoni e Milan Skriniar sono un altro segnale del non provincialismo di questa Inter in Europa. Questi due giocatori non hanno messo in campo una prestazione eccezionale per l'occasione. Questi due giocatori sono eccezionali. Sono così, giocano così. Teniamoceli stretti. Insieme al gol del Toro Martinez. Un'esplosione di perfetta eleganza insaccata in rete. Difficile anche da immaginarla. Da copertina.

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Tornando ai propri limiti - perché ancora di limiti dobbiamo parlare, vista l'eliminazione dalla Champions League - questa Inter è andata a vincere a Liverpool giocando per una buona fetta di partita in dieci uomini. In uno stadio fastidiosamente rumoroso anche dal divano di casa. Figuriamoci lì, nel ventoso freddo inglese, con la folla rumoreggiante e vagamente irritata per la"sfacciataggine nerazzurra di volersela giocare. Ad un certo punto qualcuno sui social ha iniziato ad accarezzare l'idea di portare a casa l'impresa. Perché non buttare nella mischia Dzeko e Gosens? Perché non provare a portarla a casa? A pareggiare e poi... Già, poi? I supplementari. Una dilatazione estrema delle fatiche dei 90 minuti. Sempre in dieci. Più vulnerabili ed esposti che mai. Con una possibilità di cambi ormai ridotta. Senza Brozovic. Forse qualcuno ha interpretato l'atteggiamento di Simone Inzaghi come troppo prudente. Pensare al Torino sarebbe da provinciali? Le decisioni prese ieri dal tecnico nerazzurro riconducono invece ad una consapevolezza molto lucida. Conoscere i limiti della propria squadra senza rischiare di spezzare una corda già sottile rientra nei compiti di un allenatore. Non metteremo in bacheca la vittoria di ieri con la scritta "a testa alta". La utilizzeremo per ricordarci che giocare contro una grande in Europa è nelle nostre corde. Al prossimo appuntamento ci arriveremo possibilmente al completo e con le certezze che solo una vittoria come quella che ha messo paura al Liverpool ieri ti può dare. E questo, in Europa, ha fatto, fa e farà sempre tutta la differenza del mondo.

 

 

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