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Tra le colonne di Calciomercato.com, Massimo Callegari, commentatore e giornalista, ha analizzato così il momento dell'Inter di Cristian Chivu: "Ci sono momenti, sempre più frequenti, in cui il calcio perde memoria. Cristian Chivu sta costruendo un percorso solido, fondato sul rispetto dei giocatori, l’empatia con lo staff e una competenza che trasmette serenità. Stimola la competizione interna, soprattutto in attacco, aiutato anche da un livello migliore delle alternative rispetto alla scorsa stagione. La paratona di Sommer (di Chivu la scelta di confermarlo dopo la burrasca dello Stadium) sullo 0-0 ad Amsterdam, al momento, rappresenta la svolta della stagione.
La vittoria, seguita a quell’uscita prodigiosa, ha rafforzato la credibilità del nuovo condottiero e allontanato i ricordi dell’inseguimento estivo a Fabregas. I calciatori lo elogiano pubblicamente, anche a rischio di paventare ingratitudine per il suo predecessore. Chi lavora con lui ne apprezza l’equilibrio, i modi diretti, la chiarezza, la capacità di guidare con l’esempio. Ma la sua crescita va accompagnata, non ingigantita. E il vero test sarà sulla continuità, fattore mancante decisivo nello scorso campionato e anche in quello del 2021/22.
Il curioso destino di Simone Inzaghi racconta molto del nostro modo di leggere il calcio. Nel suo primo anno all’Inter, l’onda popolare attribuiva molti meriti a Conte, per la mentalità che aveva creato. Appena se n’è andato, la sua eredità è stata invece rapidamente cancellata. Quasi con fastidio, dopo il brusco addio seguito al tracollo di Monaco, in coda a mesi di altalene emotive, da Parma a Monaco di Baviera, da Bologna al Barcellona fino alla Lazio. Quattro anni di lavoro, un profilo tattico limpido, una squadra tornata stabilmente tra le prime otto d’Europa… tutto dissolto per una sconfitta fragorosa e un addio gestito male.
È il riflesso più superficiale della “cancel culture” calcistica: riscrivere la storia per sentirsi moderni. Eppure l’impronta tattica e la propensione al palleggio sono rimaste, pur con una legittima (e necessaria) rivisitazione: più pressing, difensori più bloccati, ricerca immediata della verticalità. Inzaghi ha vinto uno scudetto, due Coppe Italia e tre Supercoppe, portando l’Inter a due finali di Champions in tre anni, perse contro due superpotenze. Ha ridato respiro europeo, un gioco riconoscibile, un’idea di calcio offensivo che in Italia pochi allenatori sono riusciti a proporre così. Dopo aver toccato vette che mancavano da più di un decennio, è diventato comunque oggetto di un fulmineo revisionismo.
Chivu, giustamente, piace. Ha un profilo serio, moderno, empatico. Ma la fretta di metterlo a confronto con Inzaghi dice più del bisogno di novità che di una reale analisi tecnica. Un club vincente non vive di slogan o di suggestioni: vive di cicli, di idee che si consolidano, di continuità. E oggi l’Inter è un modello anche grazie al lavoro metodico di un allenatore che ha saputo tenere il timone dritto in mezzo a transizioni societarie, cessioni, ricostruzioni e polemiche. Con collaboratori come Mario Cecchi, il “tattico” dell’Inter, che sta proseguendo il suo prezioso lavoro anche nello staff attuale, con impeccabile professionalità. I paragoni prematuri sono un errore di prospettiva. Sono pericolosi per chi arriva e sminuiscono chi se n’è andato. Inzaghi ha dato stile, identità, credibilità. Ha reso l’Inter riconoscibile in Europa come poche volte negli ultimi trent’anni. Tutto si può discutere, non tutto si può dimenticare".
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