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Quando una squadra cambia allenatore, è inevitabile fare paragoni, soprattutto quando il paragone lo si fa con Simone Inzaghi. Con lui in panchina l'Inter ha aperto un ciclo che ha portato a Milano uno scudetto, due finali di Champions e svariate coppe nazionali. E allora a maggior ragione i paragoni tornano spesso, anzi spessissimo. Ed effettivamente con Cristian Chivu qualcosa di diverso sta iniziando a intravedersi. Riconquista veloce della palla, maggiore aggressività, braccetti più bloccati (anche se stavolta Bastoni si è sganciato più del solito), più intensità (tutte cose che nel secondo tempo un po' sono mancate).
Qualcosa di diverso si è visto nella serata di Cagliari, soprattutto nel primo tempo quando l'Inter ha dominato in lungo e in largo mettendo in mostra il solito difetto: la mancanza di cinismo. La sindrome dello specchio per questa squadra è dura a morire. Quest'Inter, come quella di Inzaghi, rimane talmente abbagliata dalla propria bellezza, che rischia di cadere sempre sul più bello. Troppi i gol sbagliati che hanno incredibilmente tenuto il risultato in bilico fino a 9 minuti dalla fine, quando finalmente si è sbloccato Francesco Pio Esposito. È stato il gol più atteso.
Come uno scherzo del destino è arrivato davanti al fratello Sebastiano. Adesso sarà importante non caricare di troppe aspettative questo ragazzo di cui tutti sottolineano una cosa, la serietà. Lo stesso Chivu si è preoccupato di tenerlo, per quanto possibile, lontano dai riflettori. "Andiamo piano, è un 2005: ha tutto il futuro davanti, deve continuare come sta facendo. Tutti riconoscono le sue qualità, ma ha margini e serve che rimanga coi piedi per terra". E rimanere con i piedi per terra sarà la cosa più complicata per un giovane su cui anche la nazionale italiana ha riposto tante aspettative. Dicevamo di un'Inter diversa.
È chiaro che fin qui Chivu ha preferito non toccare troppo una struttura che aveva funzionato bene, ma che nel finale della scorsa stagione ha iniziato a scricchiolare dalle sue fondamenta. Il 'non sono scemo' di mourinhiana memoria ha fatto capire più di qualunque modulo l'idea dell'allenatore che nella partita più importante di questo avvio di stagione, qualcuno l'ha definito partita spartiacque, ha scelto di lanciare Luis Henrique dal 1'.
Proprio il brasiliano è, insieme alla mancanza di concretezza là davanti, una delle poche note negative della serata sarda. Timido, impacciato, poco propositivo, Henrique è sembrato ancora non integrato in un sistema di gioco che in teoria dovrebbe conoscere bene visto che al Marsiglia con De Zerbi ha ricoperto lo stesso ruolo anche se a sinistra.
C'è voluta un'ora di gioco per vedere un'accelerazione e un dribbling, troppo poco per un giocatore pagato 25 milioni di euro. Il rischio è di trovarsi davanti un Dalbert bis o un Lazaro, ovvero un attaccante esterno adattato quinto di centrocampo. Troppo presto per dare giudizi così tranchant, ma la sensazione al momento non gioca a favore del brasiliano. La speranza, soprattutto di Chivu e Ausilio, è che possa scrollarsi di dosso tutte le insicurezze che lo attanagliano, affrontare un'intera stagione col solo Dumfries (Darmian è improponibile come quinto) è un rischio molto grosso che l'Inter non si può permettere.
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