La sintesi plastica delle cause prossime consiste, molto probabilmente, nel ricordare quanto circostanze e caso abbiano inciso nel passaggio del turno nei quarti e nelle semifinali, costruendo una percezione illusoria - se non iperbolica - sul valore e la tenuta attuale della squadra. Non esistono naturalmente, prove controfattuali, ma un Bayern coi titolari mancanti (Alphonso Davies, Pavlovic e Musiala in testa) sarebbe stato un ostacolo molto più alto. Quanto al Barça, più che la serie di «fortunati eventi» in una San Siro in fase di sfollamento, ha inciso un «andare oltre sé stessi» probabilmente irripetibile sulla ruota delle statistiche.
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Il gol di Acerbi è oggettivamente un momento epico, soprattutto perché opera di un giocatore che il tempo ha plasmato in un potente chiaroscuro caravaggesco, spartito com’è tra perdizione e riscatto, morte e risurrezione; ma è anche un atto di volontà di potenza anarchica («io vado, tu coprimi», avrebbe detto a Darmian) tanto geniale quanto irriproducibile. Mentre l’«accecamento» da esultanza (e da sbalzo pressorio) di Frattesi dopo il gol risolutivo somiglia a posteriori a un black hole che potrebbe inghiottire la squadra.
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