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Se vogliamo tentare di risalire alle cause remote (evolutive) è invece necessario un breve richiamo alla «quest», alla «ricerca» sulla propria idea di calcio da parte di Simone Inzaghi.
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Se vogliamo tentare di risalire alle cause remote (evolutive) è invece necessario un breve richiamo alla «quest», alla «ricerca» sulla propria idea di calcio da parte di Simone Inzaghi.
Il punto da cui partire è la continuità profonda tra il lavoro alla Lazio e quello all’Inter, dato che il 3-5-2 (o 5-3-2) è sempre stato la sua «sezione aurea», portata lentamente a tratti inconfondibili. Una continuità tangibile nel raffronto tra due formazioni, la Lazio -2021 e l’Inter-2023, in cui comuni sono i portieri sweeper-keeper, Pepe Reina e Onana, tutti e due scuola-Ajax/Barça.
In questa architettura, Inzaghi introduce nel tempo additivi preziosi. In generale, integra il presidio (pro) attivo con un maggiore propensione al possesso, in modo da rendere la squadra meno vincolata a un’identità «italianista» in senso deteriore. Nel particolare, rende da un lato sempre più plastico il lavoro del «quintetto» arretrato (inseparabile dal resto della squadra), integrando momenti di costruzione bassa, specie in situazioni di relativa sicurezza.

Dall’altro, porta a un grado di estrema raffinatezza le «uscite» di cinque o più giocatori, con quell’inimitabile effetto radiale, a ventaglio, in cui ampiezza e profondità — unitamente a tocchi di prima e smarcamenti incessanti, con rotazioni ovvero cambi di posizione dei giocatori — rende le percussioni dell’Inter indifendibili. Dando alla metafora un tono da esercitazione, che eviti imbarazzanti implicazioni belliche (specie adesso), potremmo paragonare quelle uscite (quell’Inter) al librarsi di certe «formazioni tattiche» aeree, ora simmetriche ora sfalsate. Un’Inter, per capirci, che ha toccato il suo vertice del rapporto tra funzionalità ed estetica — torna il Bauhaus — nei due derby di semifinale di Champions 2023.

Quell’Inter ecco lo snodo — nell’ultima stagione non si è vista che per momenti isolati, sketch occasionali, come se la «quest» — la «ricerca» di Inzaghi — fosse ferma o in stand by. Può darsi che in questo le cause «prossime» citate — l’usura su tutte — si siano a un certo punto sovrapposte a quelle «remote», in un feedback negativo. Fatto sta — per dirla con una semplificazione un po’ brutale — che Inzaghi è sembrato tornare verso il peggior Conte o l’ultimo Allegri piuttosto che procedere verso Klopp, come a un certo punto l’architettura della sua squadra sembrava volesse e dovesse procedere.
E fatto sta che in parte ri-italianizzandosi — restando in mezzo al guado — l’Inter ha perso via via anche quell’impermeabilità difensiva che Inzaghi otteneva nei suoi modi, non con un semplice blocco basso e statico. Vedi i tanti gol presi non negli ultimi mesi, a squadra erosa, ma già nella remuntada subita a Riyad, un rintocco di campana forse inascoltato. Per dirla con un certo cinismo: se Inzaghi fosse davvero Conte o Allegri, forse non avrebbe perso due scudetti su tre (quello del Napoli di Spalletti è a sé stante).
(Corriere della Sera)