Caro Direttore,
editoriale
Caro Direttore
Caro Direttore, sono passati tanti anni da quelle due partite del 2003 e io ancora non me ne faccio una ragione. Una semifinale di Champions tutta milanese. Due squadre che si sentono a casa. Due squadre che pareggiano. Due risultati ingannevoli...
sono passati tanti anni da quelle due partite del 2003 e io ancora non me ne faccio una ragione. Una semifinale di Champions tutta milanese. Due squadre che si sentono a casa. Due squadre che pareggiano. Due risultati ingannevoli che non decretano un vincitore se non per una basilare quanto sconveniente regola. Quella di chi gioca in casa. A parti invertite sarebbero passati i nerazzurri. A parti invertite i rossoneri avrebbero denunciato la regola di chi gioca in casa. L'avrebbero delegittimata e non si sarebbero di certo arresi così in fretta di fronte a tale ingiustizia. E lo avrebbero fatto mettere nero su bianco a tutti (dagli archivi della Panini alle prime pagine della Rosea) che andare avanti in CL grazie a due pareggi e in virtù di una regola che stabilisce chi gioca in casa quando la casa è (duramente) condivisa non può che essere motivo di disonore. Il mondo ancora ne parlerebbe. (Sbadiglio)
Caro Direttore,
ci sono momenti nei quali penso che noi interisti siamo poco mediatici. Siamo così perché non ci piace fare gli amabili, odiamo elemosinare consensi o semplicemente perché non riusciamo a fare diversamente. Ci sono momenti in cui maledico i nostri silenzi, le nostre occhiate rassegnate, quel lascia perdere che sa di sconfitta. Ma non baratterei nulla di tutto ciò con comunicati che chiedono rinvii preventivi di sette giorni per presunte condizioni metereologiche avverse, che ribaltano definizioni universalmente scolpite nella pietra, che decidono persino quanto deve durare una partita. In questi momenti, caro Direttore, ringrazio il Signore di essere poco mediatica. Di non avere un peso specifico importante nel nuovo dialogo dei massimi sistemi del calcio italiano. Di non recriminare sempre e comunque. Scadendo nel ridicolo. Si possono perdere partite di calcio e record di imbattibilità, ma la dignità, quella no. Quella preferisco tenermela stretta.
Caro Direttore,
chissà quante lettere riceve ogni giorno. Da quelle più polemiche a quelle ricche di apprezzamenti. Dal tifoso triste al presidente incazzato. Ne riceve tante e non tutte le può pubblicare. Ma una lettera che ci ricordasse quando si vince una partita ancora ci mancava e le siamo grati per averle concesso il giusto spazio. Perché uno pensa che la partita sia finita solo considerando tutte le implicazioni della competizione nella quale essa si trova incastrata (vedi Articolo 10 del Regolamento del Giuoco del Calcio, quello che stabilisce che a contare è anche la regola delle reti segnate in trasferta, dei tempi supplementari e dei rigori) e invece scopre inaspettatamente che è più corretto considerare solo l'Articolo 7. L'articolo citato da Galliani stabilisce che la gara si compone di due periodi di gioco di 45 minuti ciascuno, a meno che una diversa durata sia stata convenuta di comune accordo tra l’arbitro e le due squadre. E no, come asserisce l'ad rossonero, non c'erano stati accordi in merito ad una diversa durata della partita. Quindi la Juve ha perso, il Milan ha vinto. Ovviamente la Juventus ha passato il turno di Coppa Italia, ha aggiunto Galliani. Grazie di cuore, Adriano. Attendevamo la sua conferma con un'ansia trepidante e sapevamo che non era per nulla scontata. Ora siamo pronti a nuove rivelazioni. Dopo il triplete della Uefa giudicato fasullo (quello per intenderci realizzato dall'Inter), dopo le partite che durano 90 minuti e che riscrivono gli albi della Panini e dopo il rinvio preventivo perché sicuramente un giorno nevicherà, temiamo di non avere più grosse certezze calcistiche e non. Brancoliamo nel buio dell'ignoranza. Ci divincoliamo sperando di risolvere la confusione che ha invaso le nostre giornate. Spesso, invano. L'ora legale di stanotte, per esempio, è confermata?
Con immutata devozione,
(Twitter) @SBertagna
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