Che il calcio italiano navigasse in acque reflue e perigliose, era cosa palese, da tempo. Ma che potesse scendere nei più remoti abissi della decadenza etico-morale, questo no.Come dopo ogni tragedia sportiva, è partita la solita ridda di pianti sinceri e artefatti, commozioni sentite o di circostanza, dichiarazioni strappalacrime, fiumi di parole gonfie di retorica e propositi francescani per l’immediato futuro. Un futuro che però ha completamente ingannato le aspettative e che si è convertito in un’indegna gazzarra da cortile. Non sul campo erboso, proscenio abituale degli atteggiamenti sconvenienti nel mondo sportivo, cui nostro malgrado ci troviamo spesso ad assistere, bensì dal pulpito di riferimento istituzionale per eccellenza, la Lega Calcio, contornata dalla pletora dei presidenti delle società calcistiche della massima Serie. Oggetto del contendere: lo spostamento della giornata XXXIII, sospesa per la morte di un giovane calciatore. Sono bastate 24 ore ai signori del calcio per passare dal cordoglio alla baruffa, deturpando il volto più profondo e reale della tragedia, un’agghiacciante lotta da bar di periferia per stabilire quando recuperare tale turno di campionato. Un esecrabile susseguirsi di veti e diktat provenienti dai due schieramenti: “Noi vogliamo recuperarla domenica” berciano taluni, “Non sia mai! Il campionato deve slittare” sbraitano altri. È un nauseante boccone, difficile da digerire, anche per stomaci erculei come quelli dei calciofili, abituati a ogni tipo di bizzarria comportamentale. Ma perché tutto ciò?La risposta è semplice quanto retorica, perciò ancor più drammatica. La ragione trova albergo in quei sordidi interessi economici che fanno archiviare in un amen qualsivoglia tragedia nel tomo dei ricordi e delle statistiche, pronto da consultare a ogni evento funesto si presenti. Gli stessi interessi che stanno conducendo il calcio italiano verso il baratro, oltre ogni limite di pudore. Un feudo amministrato da genti che hanno completamente perso il senso della realtà, che gravitano in uno spazio dove tutto è concesso: dagli stipendi maldestramente sproporzionati rispetto alla misera realtà nazionale, ai diritti tv da intascare a ogni costo, alle pay-tv da riverire come catecumeni dinanzi alla fonte battesimale, alle tediose e stereotipate dichiarazioni di protagonisti di un mondo divenuto sempre più posticcio e cinico col passare degli anni.Ci si chiede che senso abbiano tutte le manifestazioni di facciata, i minuti di silenzio, i comunicati di cordoglio protocollari sui siti delle società, i lutti al braccio e le dogliose rimembranze, quando appena 24 ore dopo un evento così drammaticamente avvolgente in tutti i suoi aspetti, viene messo in atto un osceno teatrino dai contenuti palesemente fatui, che amplificano in modo straziante il sommesso frastuono della tragedia? Con che faccia si può chiedere, facendo voce grossa, di giocare questo o quel giorno perché così si può recuperare un giocatore infortunato, sfruttare a proprio favore il calendario o guadagnare qualche ora di riposo in più nei confronti dei prossimi rivali. Qual è il senso di tutto questo? È il totale disarmo, la resa incondizionata e definitiva di un mondo in cui l’etica non si è mai trovata a suo agio e che ora ha perso anche quel briciolo di credibilità che il vertice istituzionale possedeva.Non appena l’accordo sarà trovato, state pur certi che i protagonisti si affretteranno a spiegare che è stata tutta un’esagerazione, che c’erano solo piccole divergenze, che si trattava di dettagli, che il tutto è stato ingigantito e via discorrendo. Poi si precipiteranno dietro le quinte per indossare nuovamente le loro maschere di dolore e tutto tornerà come prima, normalmente grottesco, con i nostri signori del pallone svestiti, una volta per tutte, della loro presunta dignità.
editoriale
Un bar di bassa lega
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