C’è un momento in cui si è accorto di “essere l’Inter” e non di giocare per l’Inter?
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Bergomi: “Folgorazione Inter, ma una cosa mi ha fatto male. Rispondo così a chi insinua che…”
«Da subito. Da quando mi hanno dato il primo borsone nelle giovanili con dentro una maglia di lana con righe grandi, nere e azzurre, che ricordavano la grande Inter: fu una folgorazione. Ancora adesso, quando qualcuno davanti a me insinua qualcosa, io rispondo così: “Ricordatevi chi sono io, io sono l’Inter”. Più vado su con l’età, e più questo sentimento di appartenenza è forte, anche se come commentatore resto professionale e distaccato. Il punto è che ricordo davvero tutto della mia vita nerazzurra: in una delle chat coi miei ex compagni, dal nome “Inter Trap”, Paolo Stringara mi ha da poco sfidato a riconoscere tutti quelli che comparivano in una nostra foto in un torneo del 1978 a Rimini: avevo 15 anni, ne ho sbagliato solo uno».
L’Inter le ha dato tantissimo, ma cosa le ha tolto?
«Quando ho smesso stavo ancora molto bene, ma allora mi fecero capire che dovevo andarmene... È vero che ho iniziato a lavorare subito in tv, ma non mi è stata data la possibilità di iniziare ad allenare nel settore giovanile del club del mio cuore, come è stato concesso a tanti».
C’è una scelta, un sacrificio, fatto per l’Inter che le ha dato particolarmente orgoglio?
«Avevo 20 anni, Trapattoni dalla Juve mi chiese di andare là e, quando gli dissi che non me la sentivo, mi rispose “fai bene”. In un’altra epoca, negativa, avevo ricevuto dei sondaggi di Roma e Lazio, e Bagnoli mi disse in milanese: “Ti te stè chi”, “tu resti qua”. Quando passi tanto tempo in una squadra che vince poco, allora guadagni rispetto e amore».
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