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«Il calcio va dove ci sono maggiori possibilità economiche, è normale. E poi qui si parla di fondi, soldi di tanti, oppure di famiglie con enormi patrimoni come i fratelli Hartono, i proprietari del Como, che possono sostenere i costi necessari a gestire oggi una società di serie A».
Mancano nel campionato italiano figure come lei, patron ma prima tifosi delle proprie squadre?
«Il tifo nasce da bambini, lo si vive, si alimenta il piacere di seguire un club. Chi arriva dall’estero cerca un affare, oppure vede un’avventura interessante. Non si può pretendere da loro la passione che ci mettevamo noi».
Eppure qualcuno della vecchia guardia resiste, alcuni c’erano anche ai suoi tempi.
«Sì e ne sono felice, ma il calcio ogni anno diventa un business sempre più caro, un gioco pericoloso da tenere in piedi».
Quindi, secondo lei, quanto reggeranno ancora i suoi ex colleghi?
«Dovessero ricevere una buona offerta venderanno anche loro. Si va verso una serie A con tutte proprietà straniere, la strada è quella. Agli spettatori non interessa la nazionalità, per loro basta che la società sia seria».
A distanza di tanti anni può dircelo: si è mai pentito di aver ceduto l’Inter?
«No, ogni cosa ha il suo tempo e io ho consumato bene il mio. Ripenso spesso alla mia Inter, ma non ho mai avuto nostalgia dei miei anni da presidente. È stato giusto fare un passo indietro, ma è stata un’avventura bellissima».
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